Un medico contro un’epidemia: il colera a Crotone nel 1887 e il dottor Sulco

Giuseppe Spanu Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Ci sono piccoli episodi della storia che spesso sono utili per comprendere quelli più grandi. Uno di questi è il caso del colera a Crotone nel 1887 e del dottore che lo debellò, Riccardo Sculco (1855-1931).

Sculco fu un medico di idee liberali, laico (se non addirittura ateo), positivista, come si evince dalla memoria che scrisse per ricordare e ammonire i suoi concittadini sul colera. L’epidemia che lo vide protagonista scoppiò il 20 agosto 1887 nei pressi del tempio di Era Lacinia, a Capo Colonna, in una squadra di operai addetti alle cave di pietra [1]. I primi ad ammalarsi furono due manovali, Michele Mazzei e Anastasio Andrea, che manifestarono i primi sintomi la sera del 19 agosto, per poi morire il giorno dopo. Non appena i compagni di lavoro capirono che si trattava di colera, furono presi dal panico e alcuni scapparono, chi a Crotone chi a Cirò, dove furono rintracciati più tardi. Dopo gli operai, si registrarono alcuni contagi tra gli abitanti del locale Faro e nella caserma della guardia di finanza vicino a Capo Colonna. Per fortuna “la città di Crotone restò illesa dal morbo, non per forza o volontà d’uomo, comunque, valoroso ed eroico, non per intervento di esseri superiori dal volgo invocati, ma la mercè di condizioni sfavorevoli in quel tempo al suo attecchimento” [2]. Si ammalò solo un infermiere presso l’Ospedale Colerico della città.

Informati dai profughi dell’esistenza di una epidemia, Sculco, il sindaco Berlingieri e pochi altri volontari decisero coraggiosamente di recarsi sul posto, per prestare i soccorsi e circoscrivere il focolaio. Giunti a Capo Colonna, videro uno scenario apocalittico: morti, moribondi e malati ammassati tra cumuli di rifiuti e mosche. Sculco e gli altri si legarono i fazzoletti a mo’ di mascherina e si misero all’opera: seppellirono i defunti con la calce viva e curarono i malati con disinfettanti intestinali e dosi abbondanti di vino. Sculco sospettò che l’origine del contagio fossero le fonti d’acqua e il sindaco fece chiudere il Pozzo dello Scifo a Crotone. Ma qual era la causa del contagio a Capo Colonna? Secondo Sculco era la fontana detta della Cicala, contaminata sicuramente da uno degli operai, il Mazzei, che probabilmente era stato infettato in un’altra località. Scrive il medico con linguaggio crudo ma consueto per l’epoca:

“Ed adibito al trasporto dell’acqua con barili dal pozzetto alla Cava era quel tal Mazzei, che il 9 Agosto alle 3 p.m. fu assalito dai primi sintomi del morbo, che lo spegneva secondo alle 10 ant., del giorno 20 Agosto. Questi, assicurano i compagni, fin dal giorno 18 Agosto soffriva da diarrea certamente premunitoria. L’infelice imbrattato dalle proprie deiezioni, quale in circostanze simili suole uomo di campagna, per riempire i barili alla fontanella, tuffava per attingere coll’orciuolo le mani insozzate in quella piccola raccolta d’acqua, che doveasene inquinare. Chi assicura non vi vomitasse, non lavasse qualche effetto, alcun che omai impuro in quella persona? […] E qui cade acconcio richiamare e convalidare la osservazione fatta più sopra, che nella squadra dei forestieri si avverò lo scoppio più grande del morbo, e ciò appunto perché trovandosi fra questi l’apportatore dell’infezione, niuno poteva sfuggire all’azione primitiva del germe circolante o per mezzo dei barili o dell’acqua in essi contenuta, onde l’infierimento maggiore e la prima diffusione del morbo” [3]. Una piccola comunità in cui un malato diffonde inconsapevolmente un’epidemia: è una storia più che mai attuale. Su 29 operai ne morirono 14, ma grazie a Sculco, agli altri e al cordone sanitario intorno a Capo Colonna, ai primi di settembre il focolaio di colera fu debellato. Sculco annotò con sconcerto nella sua memoria anche le cure rudimentali e bizzarre a cui furono sottoposti alcuni malati fuggiti dalla cava:

“Ella narra, che essendo stato il figlio (Pasquale Mungari) assalito da vomiti copiosi e potente diarrea, da non lieve depressione e tendenza al raffreddamento, colto il destro di una più lunga assenza della Commissione, la cui vigilanza eluse facendo animo al figlio, si fornì di mezzo litro di alcool, con che lo fregò fortemente, avvolgendolo di poi in spesse coperte di lana. Ed il Mungari, risentendo in breve ora beneficio da tale molto razional trattamento, sudò profusamente e fu salvo; […] Interrogati i predetti (i guariti senza intervento del medico) e lor famiglie n’è invece risultato che, Tricoli usò dell’olio caldo per strofinazione sulle gambe flagellate dai crampi surali, Federico rifugiatosi in sua casa in ottimo stato e così mantenendosi fu dalla ignorante insistenza dei parenti costretto a ber dell’olio ‘per salvaguardia’ come dicevano, e Mungari infine fu purgato dalla madre per elmintinosi dopo che l’epidemia entro settembre si era esaurita” [4].

E se tali cure potrebbero far sorridere, è opportuno ricordare che nella Repubblica Dominicana sono morte 109 persone per aver ingerito una bevanda alcolica illegale, nella speranza di disinfettare il corpo dal virus del Covid-19; e in Madagascar il presidente Andry Rajoelina ha esortato a bere un intruglio a base di artemisia per prevenire il morbo [5].

Quale lezione possiamo trarre da questo episodio di colera del 1887? Forse che quando si affronta un’epidemia tempestivamente, con coraggio, determinazione e fiducia nella scienza è possibile impedirne la sua diffusione. Sculco conclude:

“Ed in quest’anno in cui l’immane mostro ha bussato alle porte della città e seminato di vittime i piani circostanti, poi che ha voltato il tergo, scacciate dalla mente le viete fantasie, si permetterà che imperdonabile oblio discenda a crovir la pubblica trepidazione?” [6]

Una domanda adatta anche per noi contemporanei: finita l’epidemia di Covid-19, prenderemo i provvedimenti necessari per evitare o affrontarne un’altra in futuro o dimenticheremo tutto per tornare a una vita solo apparentemente normale?

Note

[1] Riccardo Sculco, Il colera del 1887 a Crotone, La Nuova Scuola Medica Salernitana, Salerno, 2007, p. 55.

[2] Ivi, p. 74.

[3] Ivi, pp. 68-69.

[4] Ivi, p. 60 e p. 61

[5] www.today.it/rassegna/coronavirus-cleren-morti.html

[6] Riccardo Sculco, op. cit., p.77.