Filosofia, tecnica, teste ben fatte.

Stefano Bigliardi intervista Matteo Saudino

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Matteo Saudino, professore di Filosofia e Storia presso il Liceo Scientifico Giordano Bruno di Torino, da qualche anno si è reso noto al grande pubblico grazie ai video divulgativi su BarbaSophia, suo canale YouTube che al momento conta più di novantamila iscritti [1]. I video di Saudino sono in parte ricavati dalle sue lezioni ed in parte registrati ad hoc, ma tutti sono caratterizzati da uno stile colloquiale e ironico e da una grande eloquenza e chiarezza: il tutto unitamente a una vasta preparazione. Queste doti, insieme all’aspetto informale (inconfondibili la sua barba ‘marxiana’ e le magliette che omaggiano grandi film hollywoodiani) hanno fatto del docente torinese un punto di riferimento amatissimo per quanti vogliono approfondire la filosofia e vagliare argomenti di attualità attraverso il pensiero critico. Saudino è impegnato, oltre che nella divulgazione filosofica, nella difesa della democrazia “dal basso” e della scuola pubblica; ma divulgazione del sapere e impegno politico sono in realtà due facce della stessa medaglia visto che, come recita il motto di BarbaSophia, “fare filosofia è un atto di ribellione”. Il “prof di filosofia d’Italia” ha pubblicato una raccolta di poesie (Fragili mutanti, Eris, 2012) e i libri Il Prof Fannullone. Appunti di una coppia di insegnanti ribelli nell’esercizio del mestiere più antico del mondo (o quasi) (con Chiara Foà,
ilmiolibro.it, 2017) e La filosofia non è una barba (Vallardi, 2020) che ricostruisce l’insegnamento di quindici grandi pensatori a partire dal modo in cui morirono [2].

Stefano Bigliardi (SB): “La mia prima domanda, semplicemente e banalmente, ma forse non troppo, è: come stai, Matteo?”.

Matteo Saudino (MS): “Sto bene! Insegno nella scuola del Covid-19, dunque a distanza, con le video lezioni mattutine, e tento di lavorare più sulla qualità che sulla quantità. Per quanto la tecnologia ci metta a disposizione questa modalità di didattica, non è accessibile allo stesso modo per tutti. Non tanto per la linea, ma per le condizioni a casa. Ci sono allieve e allievi più ligi, che vivono in spazi domestici che li stimolano o che comunque non ostacolano l’apprendimento. E ce ne sono altri che a casa si perdono: nel sonno, nel lavoro dei genitori, nella solitudine, in pochi metri quadrati. La mia è una didattica a distanza che tiene ben presente (ed è un mio chiodo fisso) che la tecnica è sempre uno strumento nelle nostre mani e mai un fine. Pertanto cerco di governare lo strumento verso un fine, evitando di esserne governato”.

(SB): “Tu cerchi sempre di fungere da ‘ponte’ tra i tuoi alunni, o comunque chi ti segue su YouTube, e i grandi autori della tradizione filosofica occidentale (e non solo) che possono aiutare a pensare e capire la vita. Quali filosofi, in questo momento, possono aiutarci a pensare non soltanto la pandemia, ma anche la situazione attuale di reclusione?”.

(MS): “Questa situazione non è nuova per l’umanità, ma è nuova per i tempi: di epidemie ce ne sono state tantissime, ma una pandemia in una società a capitalismo avanzato, ultratecnologica, una pandemia del mondo globalizzato post-Novecento, non si ricorda, è obiettivamente anomala. Ci sono degli autori che ci possono dare una mano in questa situazione. Penso che un punto di partenza possa essere il panteismo razionalista di Spinoza: l’autore che ci ricorda che noi siamo nel tutto e una parte del tutto, e dunque che ci aiuta a non leggere in maniera finalistica o antropocentrica il Covid-19. Non c’è un fine del Covid-19, ci direbbe Spinoza, e non tutto ruota intorno all’uomo. Spinoza ci aiuterebbe a ricondurre il virus a una visione totale, globale, universale, di stampo razionale.

A quel punto, però, Spinoza non basta, e passerei da lui a dei sani esistenzialisti… Andrei all’esistenzialismo francese, a Sartre, a Camus, e non disdegnerei quello tedesco, con Heidegger e Jaspers. Questa pandemia ci deve ricondurre al grande quesito sul senso della vita, un quesito che è lontano da Spinoza. Prima dicevo che per Spinoza la questione è che facciamo parte di un tutto di cui è parte anche il virus, e non dobbiamo cercare di leggere il tutto a partire da una prospettiva antropocentrica. Ma poi, poiché di questo tutto siamo una parte pensante, è inevitabile farsi la domanda sul senso del vivere. Questa situazione potrebbe essere un’occasione per ‘interrogare l’esserci del mondo’ e magari provare ad interrogarlo fuori dalla frenesia, dalla bulimia del consumo globale delle merci in cui siamo normalmente inseriti. Si fermano i consumi? Allora deve crescere la domanda sul senso dei consumi. E se il Covid-19 aumenta il consumo di tecnologia allora dovrebbe anche aumentare la domanda sul nostro senso rispetto alla tecnologia. Approfittiamo, dunque, della pandemia, per mettere al centro una grande riflessione sull’essere dell’uomo nel mondo in relazione al tutto”.

(SB): “Insomma, per dirla con una citazione da manuale, ‘dove cresce il pericolo cresce anche la salvezza’... Vedo, però, che ti sei subito volto ad autori contemporanei: ma che ne dici di uno sguardo al passato, ad autori greci, latini? Pensa al revival popolare dello stoicismo…”

(MS): “Citandoti Spinoza ho richiamato indirettamente qualcosa, o forse più di qualcosa, dello stoicismo. Pensando ai greci, però, andrei piuttosto a due materialisti, Democrito ed Epicuro. Sono filosofi che parlano di una felicità che va conquistata e realizzata a partire dalla riduzione di tutto quello che ci fa soffrire e ci rende infelici. In questo caso userei i greci per mettere al centro il tema della felicità legata al rallentamento del nostro vivere, al saper godere delle piccole cose. Epicuro insegna questo, come insegna anche a non temere punizioni divine, ad allontanarsi da visioni improntate alla teodicea, cioè la presunta esistenza di una giustizia divina. Questa è un’occasione per seguire i desideri naturali da soddisfare in modo stabile e duraturo. E poi ricorrerei a un po’ dell’ironia di Democrito, filosofo che può insegnarci a prendere con leggerezza il vivere. Il distacco dal mondo e dal dolore, tipico del mondo greco, rimane un esercizio difficile, ma appunto ce lo possono insegnare Epicuro e Democrito, più degli stoici che invece il dolore lo assumono come una necessità da cui non ci si può sollevare”.

(SB): “E invece rivolgersi al pessimismo di un Leopardi, di uno Schopenhauer…? O ti sembrerebbe, in questo momento, di far piovere sul bagnato?”.

(MS): “Qui vai a toccare un nodo irrisolto del mio essere divulgatore di filosofia, nel senso che io più che mai sono un ottimista della volontà e un pessimista della ragione. Quando incontro Kierkegaard, Schopenhauer, ma anche Cioran, in parte mi sento coinvolto. Mi spiego: non è un caso che su BarbaSophia Schopenhauer, e Cioran, ma anche Leopardi (di cui Cioran si professa grande amico)  siano tra i più visti, seguiti e amati. Perché? Perché questi autori pessimisti (ma possiamo includere anche Nietzsche) riescono a intercettare quel malessere della vita, quel senso di limite, di finitudine, di incompletezza, che sono sicuramente una delle caratteristiche del nostro stare al mondo. Questi autori in questo momento hanno veramente gioco facile. Schopenhauer e Leopardi ci insegnano che la natura è matrigna. Un piccolo virus che ti può togliere la vita è rivelatore del non-senso del vivere, è lo specchio della caducità dell’uomo. Dunque questi autori sono sempre presenti, a parte certi momenti di trionfo dell’ottimismo, in cui siamo imbevuti di progressismo, di successi, di crescita economica, scientifica, quelli sono autori che ritornano. Uno Schopenhauer viene a ribadirci che ‘tutto soffre’. E il ‘tutto soffre’ di Schopenhauer è veramente una chiave di lettura della situazione attuale, come pure l’idea di un cosmo ateo, senza una provvidenza divina, nulla che accompagna l’uomo, che naufraga e precipita in un dolore universale. Ma occorre non esagerare. Il malessere, il dolore, il non-senso sono una caratteristica della vita, ma non la sola. Il progresso, le cure mediche, salvano di fatto le vite: oggi abbiamo tantissimi morti, ma chissà quanti ne avremmo avuti senza il progresso medico-scientifico. Dunque alla tua domanda risponderei così: Schopenhauer, Leopardi, Cioran, sono sempre utili per limitare il fondamentalismo dell’ottimismo scientista e ultra-razionalista e dunque ben vengano con il loro messaggio che il mondo è anche attraversato dal dolore, ma sono anche autori da prendere a piccole dosi”.

(SB): “Hai menzionato Heidegger, autore che ci invita a pensare la temporalità non solo come presenza ma nel suo fluire. E allora, apriamoci verso il futuro. Forse si può dire che al momento è nebuloso e difficile da concettualizzare, ma se ci sarà un dopo-pandemia, e se, come sembra lecito congetturare, sarà caratterizzato da sconvolgimenti socio-economici, quali autori potranno farci da guida?”.

(MS): “La risposta per me in questo caso è abbastanza chiara: due autori su tutti, due filosofi-economisti. Ovviamente parlo di Marx e di Keynes. Il ‘dopo’ deve mettere in discussione in maniera netta il paradigma della globalizzazione liberista, il dogma del pareggio di bilancio. Occorre ripartire dalla questione sociale, immaginando un’economia al servizio di una società di uomini liberi dalla povertà e il più possibile liberi dallo sfruttamento e dall’indigenza. Servirà tornare a quegli autori che hanno visto nell’economia un fattore determinante della nostra vita associata, ma un fattore di emancipazione e non di sfruttamento. Occorre tornare a Marx perché dopo dovremo, più che mai, mettere mano al tema del plusvalore e del profitto. Servirà una forte redistribuzione del plusvalore. Dal mio punto di vista sarebbe bello andare verso un mondo in cui non ci sia più il plusvalore, cioè dove più nessuno è sfruttato producendo del valore che poi gli viene sottratto. Sarà molto difficile, ma almeno è possibile mettere in discussione questo accumulo nelle mani di pochi e immaginare delle forme di redistribuzione e di orizzontalità. Per fare questo sarà indispensabile ripensare il ruolo dello Stato in economia. Non uno Stato che deve accompagnare l’interesse di banche o di colossi economici o di imprese, ma uno Stato che deve più che mai organizzare politiche industriali, politiche ecologiche, politiche scolastiche, politiche sanitarie, al fine di realizzare concretamente quelle libertà, quei diritti, quegli aneliti di emancipazione che sono presenti in molte costituzioni anche europee. Se questo non avverrà, il Covid-19 sarà l’ennesima antitesi ‘sintetizzata’ nel rafforzamento dell’esecutivo,  nel rafforzamento del mercato, nel rafforzamento delle banche, nel rafforzamento dei grandi gruppi oligopolistici.

Detto in maniera molto semplice, in questo momento ci sono molti gruppi industriali, tecnologici, globali, che stanno decuplicando i propri profitti, che partono dal consumo forzato a casa e si fondano sul lavoro a ritmi sempre più alti. Questi profitti devono essere rimessi in circolo; ma non attraverso acquisizioni di nuove imprese e di nuove piattaforme online, devono essere rimessi in circolo, questi profitti, attraverso una spesa sociale: spese scolastiche, spese per la sanità, spese per la cittadinanza e in modo particolare per i lavoratori e le lavoratrici. Altrimenti, ripeto, se non si ritorna al problema dello sfruttamento, dell’alienazione, al problema del mercato, ecco, noi passeremo dal Covid-19 e dalla reclusione in casa alle città stile 1997 - Fuga da New York, città militarizzate, con polizie private, città ghettizzate, con intere aree marginali. E questo andrebbe a minare ancor di più le nostre già fragili e malaticce democrazie”.

(SB): “Ti rivolgo ancora due domande simili a quelle che ti ho rivolto in relazione alla filosofia, e similmente correlate tra loro, e cioè: quale il ruolo della scuola, ora, in questo momento di quarantena e reclusione, e quale il ruolo della scuola ‘dopo’?”.

(MS): “Te le metto insieme, perché per me la scuola, ieri, oggi e domani, deve avere un ruolo netto, chiaro. Il ruolo di formare uomini a 360° e donne a 360°, cioè la scuola dev’essere un laboratorio di pensiero teorico e pratico. La scuola dev’essere un luogo in cui si costruisce la cassetta degli attrezzi per provare a vivere liberi e felici. La scuola dev’essere un laboratorio di pensiero astratto e di pensiero applicato, ma pur sempre finalizzato all’emancipazione degli uomini e delle donne. Questo avrebbe dovuto essere prima (e non lo avevamo realizzato), questo dev’essere adesso, e questo dovrà essere ancora più dopo. Serve una scuola che dia ai ragazzi gli strumenti per comprendere la realtà, decostruirla e poi ricostruirla. Bisogna analizzare la realtà e poi ricomporla, ma analizzarla in maniera critica. L’unico antidoto contro i fondamentalismi, che siano religiosi, che siano economici, che siano politici, è una testa ben fatta, e una testa ben fatta vuol dire una testa pensante in modo critico. Questo deve fare la scuola, e deve usare gli strumenti a disposizione, che siano lavagna e gesso, che sia la piattaforma online, che sia la didattica a distanza o la didattica tradizionale, la scuola ha un obiettivo: formare teste pensanti”.

(SB): “Abbiamo parlato del ‘dover essere’ della scuola, ma parliamo ora del suo ‘essere’, di com’è in questo momento. Quali nodi della scuola italiana sono venuti al pettine del Covid-19?”.

(MS): “I nodi che vengono al pettine secondo me sono veramente tanti. Ne scelgo tre. Il primo nodo è che la scuola italiana, come molte scuole nel mondo, fatica ad immaginarsi al di là dei voti. La scuola è finalizzata al voto, alla performance. Il Covid-19 ci costringe ad immaginare una scuola al di là del voto. Il secondo nodo: emerge la divisione tra una scuola che considera la tecnologia un male e quella che la considera una panacea. C’è chi si dispera perché la tecnologia disumanizza l’apprendimento, c’è chi la vede come un fattore di accelerazione e di accresciuta efficienza dell’apprendimento. Abbiamo un sì e un no netti alla tecnologia, senza una posizione intermedia volta a identificare nella tecnologia un mezzo e non un fine, come ti dicevo all’inizio. Un terzo nodo è il fatto che la scuola sempre più tende ad andare verso il rafforzamento del potere esecutivo della dirigenza a discapito degli organi collegiali, che vengono sempre più sminuiti. Forse non svuotati, ma sminuiti sì. Questo, ahimè, è un problema diffuso in tutta la nostra democrazia”.

Note

[1] https://tinyurl.com/sdmgt7b

[2] L’intervista si è svolta attraverso Skype il 7 aprile 2020 e la presente trascrizione è stata approvata da Matteo Saudino, che ringrazio per la pazienza e la disponibilità.