L’altra pandemia, quella delle leggende

Sofia Lincos Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Il 31 gennaio un esperto di comunicazione, piuttosto conosciuto in rete, pubblicava su Twitter questa edificante storiella [1]: “Salgo su un treno per Pesaro. Nella carrozza entra un ragazzo cinese. Una tizia esclama ad alta voce: ‘Ecco qua, così s’ammalamo tutti’. Il ragazzo prontamente risponde: ‘A signò, io la Cina in vita mia l’ho vista solo su Google Maps!’. Applausi”.

Il lockdown era ancora lontano, le notizie che arrivavano da Wuhan erano preoccupanti, ma non tutti avevano ancora capito cosa si stava preparando – anzi, molti erano assolutamente convinti che il virus da noi non sarebbe arrivato. Il tweet – non si sa quanto veritiero o meno – parlava implicitamente della necessità di non cedere al panico, del rifiuto di un giudizio basato sulle apparenze e dell’invito a non alimentare il razzismo dilagante. In poco meno di una settimana, la storia aveva fatto il giro del mondo: il tweet era stato tradotto in inglese e riproposto con piccole variazioni da molte altre persone, il treno per Pesaro era diventato quello per Roma, Los Angeles, Londra, una città della Malesia o addirittura un bus per Amman [2].

L’evoluzione di questa narrazione è un caso da manuale per capire bufale e leggende metropolitane: le storie viaggiano, mutano, si adattano ai nuovi contesti e vengono “rilocalizzate” in luoghi più familiari a chi le sente e le racconta. L’epidemia di Covid-19 ha visto fin da subito la nascita di una marea di storie, catene di sant’Antonio, fake news e racconti improbabili che hanno fin da subito attirato l’interesse di folkloristi, antropologi, psicologi sociali, debunker e studiosi di storia delle idee. Non a caso è stata l’OMS stessa, fin dal 2 febbraio, a parlare di una massiccia infodemia in corso: “un’abbondanza di informazioni, alcune accurate e altre no, che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili quando ne hanno bisogno” [3].

Di fronte al proliferare di fake news, quotidiani, istituzioni e semplici cittadini hanno cercato di opporre il fact-checking e il debunking, in modo da far prevalere il valore dei fatti sulla disinformazione dilagante. Un lavoro notevole e di grande importanza, che rischia però di rimanere un po’ monco se non è accompagnato anche dalla riflessione sui meccanismi e sulle dinamiche attraverso cui queste false notizie riescono a dilagare.

D’altronde, lo aveva già scritto un grande storico come Marc Bloch, nel suo pionieristico lavoro sulle leggende che circolavano tra i soldati durante la Prima guerra mondiale: “Le notizie false della storia nascono certamente spesso da osservazioni individuali inesatte o da testimonianze imperfette, ma questo infortunio iniziale non è tutto e in realtà in sé stesso non spiega nulla. L’errore si propaga, si amplifica e vive solo a una condizione: trovare nella società in cui si diffonde un brodo di coltura favorevole. In quell’errore, gli uomini esprimono inconsciamente i propri pregiudizi, odi e timori, cioè tutte le loro forti emozioni. Soltanto [...] dei grandi stati d’animo collettivi hanno poi la capacità di trasformare una cattiva percezione in una leggenda” [4].

Insomma, forse oltre a chiederci se una storia è vera o meno, dovremmo riflettere anche su perché ha successo, perché tante persone le danno credito, la diffondono e la condividono con amici e parenti. Il debunking è importante, ma non può essere l’unico obiettivo di chi combatte la cattiva informazione: deve essere necessariamente affiancato dalla riflessione e dall’analisi, per far conoscere al pubblico i meccanismi attraverso cui la disinformazione dilaga. È uno sforzo che da anni portano avanti associazioni come il CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze) [5] e il CeRaVoLC (Centro per la Raccolta delle Voci e delle Leggende Contemporanee) [6], a cui contribuisco da anni come volontaria. Il CeRaVoLC, in particolare, sta raccogliendo fin da gennaio dicerie, bufale e leggende metropolitane che hanno per tema il coronavirus, mentre il primo sta portando avanti una disamina di alcune tra le fake news più diffuse attraverso il sito della sua rivista, Query online [7].

Fatta questa doverosa premessa, ci si potrebbe chiedere: ma come nascono fake news e leggende metropolitane sul Covid-19? La casistica è molto varia. 

In alcuni casi si è trattato di messaggi privati, destinati a una singola persona o a una ristretta cerchia, che sono usciti dall’ambito dei destinatari a cui erano inizialmente rivolti. Un piccolo esempio: intorno all’8-9 marzo è circolato tramite WhatsApp l’audio di un’infermiera dell’ospedale Amedeo di Savoia (Torino) che parlava di situazione drammatica, struttura al collasso e mezzi pubblici contaminati. Si è poi scoperto che i toni erano stati volutamente esagerati dall’operatrice sanitaria: il messaggio doveva spaventare il figlio diciassettenne di un’amica, che si ostinava a uscire nonostante il fatto che nel suo nucleo familiare ci fosse una persona che rientrava nelle categorie di vulnerabilità. L’audio era stato diffuso al di fuori del destinatario originale – forse dallo stesso ragazzo – e la voce si era propagata rapidamente in tutto il Piemonte, generando ansie ingiustificate [8].

In altri casi, la fake news è la riproposizione di storie già in circolazione, con piccoli adattamenti alla nuova situazione. E così negli USA ha cominciato a diffondersi, ad esempio, un appello a fare attenzione alle pompe di benzina, viste come possibili vettori del contagio: una catena di sant’Antonio molto simile ad altre già viste in anni passati, quando il pericolo era un’ipotetica (e molto leggendaria) “contaminazione” con il virus dell’AIDS [9]. Un altro esempio di “resurrezione” di una bufala è questa, diffusa all’estero e ambientata nel nostro Paese:  “Da meditare! Un italiano di 93 anni, guarito dopo essere stato infettato dal coronavirus, è scoppiato in lacrime quando gli è stato chiesto di pagare il costo di una giornata di utilizzo per un respiratore artificiale. Quando il medico gli ha domandato perché piangeva, ha risposto: ‘Piango perché grazie a Dio ho potuto respirare gratuitamente 93 anni, quando oggi per una semplice giornata di respirazione artificiale ho dovuto pagare 500 euro. Immaginate l’enorme debito che ho verso Dio!’”. Si tratta di una storiella palesemente falsa, scritta probabilmente da qualcuno che conosce poco il nostro Sistema Sanitario. Eppure è comparsa in siti, forum e pagine social di argomento religioso (indipendentemente dalla confessione: è stata riproposta da un bollettino parrocchiale cattolico, numerose pagine Facebook protestanti e islamiche). Ma si trattava di un racconto apologetico già diffuso prima del Covid-19 (ovviamente prima si trattava di un generico problema respiratorio). L’epidemia in corso è stata l’occasione per rispolverarlo e presentarlo come episodio appena successo [10].

Altre false notizie derivano dal fatto che alcune persone si sentono in dovere, in assoluta buona fede, di condividere informazioni e suggerimenti che potrebbero essere utili ai propri amici: molti consigli di salute non proprio affidabili ricadono in questa categoria. E così è diventato virale, ad esempio, un messaggio audio in cui una donna - non si sa sulla base di quali evidenze scientifiche - suggeriva l’assunzione di dosi massicce di vitamina C per prevenire il contagio [11]. Ma all’appello non sono mancati tutta una serie di alimenti considerati salutari o rafforzativi del sistema immunitario, dalla cipolla all’aglio, dal thè caldo alla curcuma [12][13].

Un’intera casistica di false notizie deriva poi dal trolling, notizie false postate online per vedere quante persone “ci cascano” (o, più in generale, battute, immagini e articoli scherzosi che vengono però presi sul serio da una parte del pubblico). Anche qui un paio di esempi: a metà aprile è diventata virale l’immagine di una “capsula” di coronavirus ritrovata – affermava la didascalia – nella falda acquifera di uno dei focolai dell’epidemia. La foto rappresentava una fiala con un’etichetta e le scritte “US Army”, “Extermination Protocol Covid-19”. Una probabile presa in giro delle teorie del complotto in circolazione sulla natura del virus, ma di cui alcune persone non hanno colto l’ironia. Tra i più divertenti elementi di questa categoria di bufale, quella secondo cui il fungo utilizzato per la preparazione del Roquefort (il Penicillium roqueforti) sarebbe presente nella controversa cura a base di clorochina proposta dall’infettivologo francese Didier Raoult. La logica conseguenza? Si può sconfiggere il virus a colpi di formaggio. Peccato che, anche in quel caso, la storia avesse avuto origine da un articolo satirico [14].

Molte bufale si diffondo, poi, da quelle “osservazioni individuali inesatte” e “testimonianze imperfette” di cui parlava Bloch: semplici fraintendimenti, o interpretazioni fallaci di dati reali, possono dare luogo a leggende e false notizie. Un esempio dalle prime fasi dell’epidemia: il 2 marzo un ascoltatore del programma La Zanzara (Radio 24) telefonò in trasmissione per raccontare che a Castiglione d’Adda (Lodi), allora zona rossa, qualcuno stava segnando le case degli infetti con vernice nera. I carabinieri della zona, contattati da Giornalettismo, appurarono che le cose non stavano così: c’erano macchie su alcune case, ma si trattava di olio esausto buttato in tre punti su una strada del paese, e non corrispondevano in alcun modo alle case dei contagiati. Qualcuno aveva visto le chiazze, e le ipotesi sulla loro natura erano diventate certezza [15]. Un altro esempio è quello dei 500.000 tamponi che a metà marzo sarebbero stati dirottati “clandestinamente” negli USA all’insaputa dell’Italia: la spedizione c’era stata davvero, ma non c’era nulla di segreto (e nel nostro Paese non c’era carenza di tamponi, i test erano limitati dalla mancanza di laboratori e personale per analizzarli, non dai supporti in sé). [16]

Molto nutrita, poi, la schiera delle fake news “intenzionali”, create da gruppi o singoli per portare avanti idee precise, mettere in cattiva luce un avversario o supportare una determinata causa. La propaganda può essere di natura diversa: abbiamo quella politica (si pensi ad esempio alla bufala secondo cui Giuseppe Conte si sarebbe fatto un ospedale in casa, o alle foto – risalenti a mesi prima – di lui ed altri parlamentari in giro senza mascherina) [17][18], quella religiosa (molto diffuso, in ambito protestante, il racconto dell’inesistente medico italiano “Julian Urban” convertito dopo aver visto morire un predicatore nel pronto soccorso di Milano) [19], ma anche di tipo diverso (la bufala secondo cui Bill Gates aveva già pronto un vaccino, ad esempio, ha trovato ampia diffusione in ambienti no vax) [20]. Senza contare l’enorme cumulo di siti che guadagnano esplicitamente pubblicando notizie false e diffondendole il più possibile, e che ovviamente hanno tutti gli interessi a trattare l’argomento del giorno: da uno di questi, ad esempio, è partita la diceria intorno alla morte di Elisa Granato, ricercatrice italiana a Oxford coinvolta nel programma di sperimentazione di un vaccino anti-coronavirus [21].
Un’ultima tipologia di bufale deriva poi dal fatto che questa malattia è nuova e non ne conosciamo davvero molti aspetti, dalle cure possibili al suo comportamento in relazione al clima. Gli studi sono in corso, ma i tempi dell’emergenza mal si conciliano con i tempi della ricerca, e non è raro che i giornali affamati di notizie pubblichino risultati parziali o inesatti. Al tempo stesso, esistono ambiti in cui la comunicazione istituzionale è stata piuttosto ambigua: basti pensare alle differenti posizioni assunte da OMS e Regioni sulle mascherine, o a quelle di ISS e Comuni sull’utilità del lavaggio strade con candeggina [22]. Insomma, contrariamente all’opinione di molti, non è sempre e solo colpa di Internet: anche giornali, televisioni, istituzioni e decisori politici possono contribuire al caos informativo.

Bisogna poi ammettere che non sempre è facile risalire all’origine di una bufala o di una leggenda, e alcune “voci” rimangono abbastanza oscure. Chi sa, ad esempio, cosa aveva in mente l’anonimo italiano che ha diffuso per primo la notizia degli aerei che avrebbero sorvolato le città nella notte per spargere disinfettante? [23]. Più facile, invece, tracciarne la diffusione: lo ha fatto, ad esempio, il folklorista olandese Peter Burger, dell’Università di Leida, che ha verificato come la catena WhatsApp avesse raggiunto Paesi in Europa, Asia e Sud America[24].E Burger non è l’unico studioso di leggende contemporanee che sta cercando di seguire l’evoluzione dell’infodemia. Sono moltissimi i professionisti coinvolti nella raccolta di fonti e nei tentativi di classificazione, e in molti Paesi diversi. In Russia, ad esempio, gli antropologi dell’Accademia Presidenziale stanno cercando di catalogare le false notizie, che per ora vedono sei categorie: i consigli pseudo-medici (come le rivelazioni da presunti scienziati scomodi), le ricette popolari/religiose (come la catena di sant’Antonio che invita a tracciare una croce con l’olio d’oliva sulle porte delle case, per difendersi dal virus), gli allarmi (ad esempio i già citati elicotteri disinfettanti), i racconti di panico in prima persona (molto successo ha avuto, in Russia, la storia di “Polina dall’Italia” che racconta la situazione drammatica nel nostro Paese, con alcune distorsioni e forzature), i documenti falsi e le storie sull’origine tecnologica del virus [25] [26].

Ma è davvero difficile creare una vera e propria tassonomia degli argomenti, che sono i più vari e toccano tutto il panorama dell’informazione. Il CeRaVoLC - grazie al lavoro di appassionati come la sottoscritta, Paolo Toselli, Giuseppe Stilo e Roberto Labanti - li ha raggruppati, per ora, in 24 filoni: racconti per capire cosa sta succedendo davvero in altri Paesi, storie dalla prima fase dell’epidemia, possibilità di contagio da oggetti, metodi più o meno improbabili per prevenire e curare, ricette fai-da-te per disinfettanti e mascherine, apparizioni in cielo, profezie, storie da supermarket, bufale legate agli animali, complotti sull’origine del virus, colpevolizzazioni, cacce all’untore, storie di eroi e di criminali legate all’epidemia, narrazioni legate allo “sceriffismo”, catene e messaggi per tenere insieme la comunità, rivalità con altri Stati, dicerie su vip malati, bufale legate alle leggi o all’economia, storie di luoghi o di categorie di persone immuni al contagio, coincidenze sorprendenti, false citazioni o opere letterarie legate all’epidemia, storie sul ritorno della natura e animali in un mondo senza di noi. Ma, come Umberto Eco insegna, in tutte le classificazioni prima o poi salta fuori l’ornitorinco, e ci sono bufale difficili da inquadrare o che possono ricadere in più di una categoria.

Un’ultima nota per concludere: perché condividiamo queste false notizie? Si potrebbe pensare che sia semplice incapacità di analisi critica, ma sarebbe una visione un po’ riduttiva. Le fake news fanno leva - sicuramente - sulla fiducia che riponiamo in chi le ha pubblicate o ce le ha mandate su WhatsApp, e sul fatto che difficilmente cerchiamo di risalire alle fonti originali o di controllarne la natura (un errore in cui cadono anche fior di giornalisti, spesso per mancanza di tempo, altre volte per superficialità, altre ancora per difficoltà oggettive nella verifica). Ma non è solo questo. Le cosiddette “bufale” si diffondono anche perché mettono in moto tutta una serie di meccanismi psicologici e sociali che è importante conoscere.

Dietro le nostre condivisioni c’è, molte volte, l’urgenza di condividere informazioni vitali con persone che amiamo (consigli di natura medica o per non essere contagiati), ma anche la bassa fiducia nelle istituzioni - o una eccessiva nel “garante” della storia (grande diffusione ha avuto, anche da noi, il finto “decalogo della Johns Hopkins” [27]).

Ma spesso c’è anche il fatto che le bufale hanno una morale, ci permettono di dire qualcosa che ci sta a cuore: le fake news ci corteggiano, ci assecondano, e ci dicono esattamente quello che vorremmo sentire. Possono calmare la nostra ansia (credere che qualcuno abbia profetizzato tutto questo, ad esempio, ci aiuta a sentirci meno in balia del caso; o credere che la Madonna sia apparsa in Piazza San Pietro può indurci a credere di avere una speciale protezione divina) [28][29], a volte ci danno spiegazioni per cose che non capiamo (perché in quel tal paesello non ci sono stati contagi? Sarà merito dell’acqua che bevono?) [30].

Fanno leva su emozioni forti: l’ammirazione per un parroco che rinuncia al suo respiratore per lasciarlo a un giovane [31], l’indignazione per le persone che affollano una strada a Pasqua [32], il disgusto per la foto di un cinese che divora un topolino... [33]

Ma soprattutto, sono narrazioni belle, che ci piacciono, ci stuzzicano, ci fanno divertire. Che dire, ad esempio, della storia secondo cui Netflix avrebbe riempito le strade di alcune città con gli spoiler delle sue serie TV di maggior successo, per invogliare la gente a rimanere in casa? [34]

Siamo esseri narrativi. Se le bufale hanno successo, in fondo è anche per questo.

Note

[1] https://tinyurl.com/ycol7vej

[2] https://tinyurl.com/yctgytva

[3] https://tinyurl.com/yd5sh8ru

[4] Marc Bloc, “Réflexions d’un historien sur les fausses nouvelles de la guerre”, Revue de synthèse historique, 1921.

[5] https://tinyurl.com/ybuqva4g

[6] https://tinyurl.com/yashflzj

[7] https://tinyurl.com/ycax8cd9

[8] https://tinyurl.com/y7ctue5v

[9] https://tinyurl.com/ybukpyw9

[10] https://tinyurl.com/yaxd2zsp

[11] https://tinyurl.com/ycavl6ks

[12] https://tinyurl.com/y8jjrtfb

[13] https://tinyurl.com/y9ab7ot6

[14] https://tinyurl.com/y87hvnjn

[15] https://tinyurl.com/ydyyqpuw

[16] https://tinyurl.com/y7fskkcq

[17] https://tinyurl.com/yan9kaj5

[18] https://tinyurl.com/y9eg9c7t

[19] https://tinyurl.com/y7xyvgbu

[20] https://tinyurl.com/yden6dqy

[21] https://tinyurl.com/ycbl2jn8

[22] https://tinyurl.com/y7enynp3

[23] https://tinyurl.com/yd89srhq

[24] https://tinyurl.com/y7e68byh

[25] https://tinyurl.com/yalk8y7t

[26] https://tinyurl.com/y9hpgajx

[27] https://tinyurl.com/ycft7b4z

[28] https://tinyurl.com/y92839s5

[29] https://tinyurl.com/y79oy5zw

[30] https://tinyurl.com/y9dwcb5e

[31] https://tinyurl.com/yabhbfxw

[32] https://tinyurl.com/y9oxv5yq

[33] https://tinyurl.com/y9v3c69q

[34] https://tinyurl.com/y9b92bac