La rivincita di YHWH: riflessioni a margine di Covid-19

Anna Pinna Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Il mondo tutto è interessato dalla pandemia da Covid-19, e l’Italia in particolare. Da un punto di vista antropologico, questi mesi di allarme, restrizioni e sterminato intrecciarsi di informazioni di ogni genere potrebbero fornire materiale per anni di analisi e discussioni. Qui vogliamo focalizzare l’attenzione su come i credenti cristiani e le istituzioni religiose (e quelle civili gravitanti intorno ad esse) stiano interpretando gli avvenimenti attingendo, per dar loro significato, alle chiavi di lettura offerte dalla religione giudaico-cristiana, oggi come in passato.

Gli spunti di riflessione a cui faremo riferimento provengono dai social media, in quanto specchio delle discussioni in atto, vetrina delle emozioni personali della massa, ma anche agorà pubblica a  disposizione di milioni di individui che da più di un mese devono ridurre all’osso le occasioni di interazione faccia a faccia, e hanno moltissimo tempo a disposizione per interagire in forma scritta sul web.

Il primo fenomeno da cui vorrei partire è la tendenza, da parte di moltissime persone, a cercare un responsabile a cui addossare la colpa della pandemia in atto e delle sue conseguenze pratiche, sia in termini di perdite umane che di impatto economico e sociale.

Il bisogno di attribuire una colpa a qualcuno o qualcosa è tipicamente occidentale, visto che nelle culture asiatiche prevale, di fronte ad avvenimenti di grande impatto, una reazione di accettazione della realtà, e la saggezza e la filosofia buddista e taoiste, che cito perché ne riconosco una certa presenza tra i tentativi di reagire allo sconforto e al panico che sembrano farla da padroni, suggeriscono invece di lasciar fluire l’onda che ci investe cercando di coglierne vari insegnamenti [1].

Ma accantoniamo queste proposte, interessanti ma di altra natura.

La colpa dei disagi che stiamo sperimentando viene addossata, dagli internauti, a varie entità, alcune pienamente reali, altre meno. Andiamo ad elencarle.

Il primo protagonista, personificato e capace di suscitare emozioni di varia natura, è lui, il SARS-CoV-2, generalmente chiamato dai mezzi d’informazione “nuovo Coronavirus” o anche, per sineddoche, solo “Coronavirus”, ma spesso citato sul web come “il virus” (in quanto oggi agente patogeno per antonomasia, davanti al quale tutti gli altri perdono importanza) o “il maledetto virus”, ad esprimere tutta la forza dei sentimenti che la sua esistenza suscita e a segnalare l’idea che la sua origine abbia un che di diabolico.

Il virus, come anch’io per brevità lo chiamerò da ora in poi, ha una raffigurazione ben nota, evocativa nella sua sfericità dotata di regolari appendici [2], che lo fanno somigliare a un ordigno micidiale, come una mina navale, e che si è prestata a innumerevoli adeguamenti e personalizzazioni in meme e vignette.

È ovviamente invisibile, date le sue dimensioni (100-150 nm), e questo lo rende infinitamente più terrorizzante. Molti esseri umani hanno avuto e hanno paura di fare la fine degli alieni ne “La guerra dei mondi” [3], e di essere invasi, mediante gli irrinunciabili atti respiratori, dal nemico subdolo e potenzialmente micidiale.

Ma non potendo colpire con le proprie invettive e il proprio astio un essere impalpabile e privo di occhi, orecchie e coscienza, bisognava spostare il bersaglio su esseri senzienti a cui attribuire la colpa di averlo generato, ospitato, diffuso, non efficacemente fermato. Ecco dunque venire alla ribalta i pipistrelli, i poveri animali macellati ed esposti nei wet market, gli organizzatori e i lavoratori dei mercati stessi, i consumatori di quelle carni, per estensione i cinesi, e in particolare il governo cinese, omertoso e mentitore; e poi i residenti cinesi nel nostro Paese, anche quelli nati in Italia e che da essa non si sono mai mossi in vita loro, e gli uomini d’affari e i turisti; e poi il Governo italiano e delle Regioni, le autorità sanitarie, e quindi, una volta accettata la limitazione della mobilità, i contravventori alle regole, ma anche, dalla parte opposta, gli “sbirri” incaricati di sanzionarli, e finalmente il Paese può nuovamente dividersi in opposte fazioni: rigoristi e libertari, timorosi e insofferenti, scientisti e complottisti e così via.

Mettiamo da parte tutti questi potenziali colpevoli e concentriamoci ora su un’entità alla quale non pochi stanno, come da sempre si è fatto, attribuendo una funzione “decisionale” (ma non la colpa!) nella venuta tra noi del virus, ovvero “Dio”.

Era un po’ che il buon vecchio padre celeste ammuffiva in disparte, ridotto ad essere chiamato in causa solo in caso di eventi personali, quali malattie o disgrazie varie, e al quale quindi si poteva attribuire non più che qualche guarigione più o meno “miracolosa”, comunque limitata a casi isolati, faticosamente racimolati qua e là per corroborare l’idea di una divinità che ogni tanto, a furia di preghiere e invocazioni, elargisce la sua benevolenza regalando ai benvoluti qualche anno di vita in più.

Anche in caso di crolli o terremoti era possibile attribuire i casi di fortuita salvezza alla divinità, ma un po’ fiaccamente, visto che a parlarne troppo si rischia sempre che qualcuno obietti che magari la divinità avrebbe potuto fermare le onde sismiche o il cedimento strutturale qualche minuto prima.

Ma una pandemia, finalmente, permette di chiamare in causa un essere onnipotente, capace di progettare e realizzare un’ondata di contagi “cattolica”, nel senso di universale.

Chi attribuisce alla divinità tale decisione, però, non si sogna di maledirla: il virus è maledetto, diabolico, ma il suo creatore non può, per definizione, aver agito con cattiveria, malevolenza, crudeltà. Dio dà e Dio toglie, e quando toglie ha i suoi buoni motivi. Chi nel passato ha invocato più volte, sempre tramite i social media, l’estinzione della specie umana, però, non sia troppo soddisfatto e non pensi di avere tutto questo potere nell’influenzare le decisioni dell’onnipotente: in primo luogo perché esso ha già dichiarato una volta per tutte che, dopo il diluvio universale, non avrebbe mandato un’altra catastrofe totale [4], per cui se l’umanità decidesse di sparire dalla faccia della Terra dovrà farlo con mezzi propri; in secondo luogo perché ormai è assodato che i flagelli che YHWH manda sulla Terra devono ammazzarne molti ma non tutti, perché solo così chi rimane può fare il conteggio dei morti, trarne insegnamento, e ringraziare la divinità per essere scampato.

Qualunque persona si prenda, da profana, la briga di leggere tutto il Pentateuco rimane colpita dal balletto tra YHWH e il popolo ebraico: ripetutamente il popolo si stufa di YHWH, si ribella, protesta, prende ad adorare altri dei, e lui si arrabbia e manda un flagello, che ne stermina una parte. Allora qualcuno intercede, YHWH si rabbonisce, il flagello cessa, per un certo lasso di tempo va tutto bene, come in certe coppie litigiose, poi la storia ricomincia [5]. Viene da chiedersi quanto dura sia davvero la cervice del popolo eletto, che non impara mai la lezione e continua a mettersi contro un padre-padrone evidentemente onnipotente e ben poco misericordioso.

Se fosse solo una metafora, sarebbe molto efficace. L’umanità continua a gestire le risorse in maniera forsennata (costruendo nei letti dei fiumi, disboscando le foreste, usando materiali da costruzione non antisismici, ammassando gli animali negli allevamenti intensivi e macellandoli...), arriva la disgrazia, si piange sul latte versato e, asciugatesi le lacrime, si ricomincia a versarlo.

Ma nella mente di molti la metafora viene intesa come realtà, e si aprono gli scenari dell’irrazionale. Anzi, le epidemie diventano per le varie Chiese occasioni di rinnovamento del proprio potere, attraverso la manipolazione dell’ignoranza e della paura dei propri fedeli, che crescono e danno frutti grazie alla sapiente preparazione del terreno operata dall’indottrinamento operato su di essi nella tenera età.

Se non ci fosse la religione, le epidemie inizierebbero, farebbero il proprio corso, mieterebbero un numero di vittime dipendente da vari fattori, fino a scemare e ritirarsi, come un’onda di marea, e come questa pronte a tornare.

Invece, nel momento in cui essa inizia a manifestare i suoi effetti, è facile instillare nei fedeli la convinzione che la colpa sia loro e dei loro peccati o, meglio ancora, di altri: dei non credenti, dei materialisti, di chi non si conforma alla morale cattolica, del diavolo, di tutte le varie incarnazioni del Male.

E poi, in questa situazione di rabbia e paura, ecco che si innestano i riti religiosi: centinaia di preti, vescovi e altri prelati ci mettono del loro, invocando santi, portando in giro statue e reliquie, e decine di sindaci e altre autorità civili si mischiano ai religiosi senza pudore. Tanto sanno che prima o poi l’epidemia finirà, per cause naturali e per lo sforzo degli operatori sanitari, oltre che, in questo caso, con il sacrificio privato della libertà di movimento dei cittadini, e ci sarà solo da raccogliere i frutti seminati con messe e processioni in streaming. I non credenti considereranno i due eventi indipendenti tra loro, ma i credenti vedranno una connessione, perché sono stati educati, sempre fin dai tempi biblici, ad aspettarsi che i flagelli: 1) arrivino sproporzionati e inaspettati, e 2) causino comunque un numero imprecisato di vittime, nonostante le suppliche, prima di cessare. Se nei testi sacri ci fosse una proporzione precisa tra colpa del popolo ed entità del flagello, e morissero solo i colpevoli e non gli innocenti, e se la cessazione del flagello seguisse immediatamente al pentimento dei flagellati, non sarebbe possibile far digerire ai fedeli odierni le caratteristiche dei flagelli attuali. L’effetto è stato ben descritto da Skinner (1948) come “superstizione del piccione”: un piccione posto in una gabbia, nella quale veniva erogato del cibo ad intervalli prestabiliti, tendeva a ripetere gesti che avevano preceduto, casualmente, l’erogazione del cibo. Il fatto che ogni tanto il cibo effettivamente cadesse non faceva che confermare la presunta efficacia del gesto, portando il piccione a ripeterlo in un crescendo di frequenza, fino all’ossessività.

Ecco perché non dovrebbe stupirci che, ancora oggi, le persone vittime della fede possano trovare plausibile che le pestilenze del passato possano essere state fermate (dopo la perdita di milioni di vite umane) da processioni di madonne, e che chiedano a gran voce la ripetizione del rituale pensando che questo possa consentire o accelerare la fine dell’epidemia in atto.

La Chiesa gongola, perché sa che prima o poi l’epidemia cesserà di produrre i suoi effetti, e ci sarà solo da lasciar credere ai fedeli che il merito sia stato del rituale. E raccogliere i frutti in termini di preghiere e donazioni, fiduciosi nella prossima epidemia.

Note

[1] In particolare, il buddismo ritiene che anche le disgrazie siano una manifestazione dell’impermanenza e facciano parte della catena karmica degli eventi, mentre il taoismo predica il wuwei (tradotto come  non-azione, nel senso di non forzare gli eventi ma agire in armonia con essi).

[2] Non spaghettose, ahimè...

[3] Mi riferisco ad entrambi i popolari film tratti dal romanzo di H.G. Wells (1897): la versione del 1953 diretta da Byron Haskin e quella del 2005 diretta da Steven Spielberg.

[4] Genesi 9, 11.

[5] Esodo 32; Numeri 11; Numeri 14; Numeri 17, 14.

Ringrazio con affetto Giuseppe Spanu per la collaborazione nella revisione del testo.