Un gesuita contro il Risorgimento satanico: Padre Bresciani e le origini del complottismo

Giuseppe Spanu     Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Il 6 gennaio 2021 una folla istigata da un presidente in scadenza ha assaltato il Campidoglio degli Stati Uniti, per impedire la proclamazione del nuovo inquilino della Casa Bianca, considerato illegittimo. Molti di questi manifestanti credevano fermamente che il presidente Trump fosse la vittima di un complotto, che fosse osteggiato da una cricca di uomini potentissimi, ramificata nell’apparato statale, nel Partito Democratico e nell’intellighènzia progressista, dedita a culti satanici, in cui venivano sacrificati bambini procurati da pedofili, per trarre dal loro sangue una droga potentissima.

Questo delirio è sostanzialmente la teoria del complotto nota come QAnon, in cui un fantomatico Q avrebbe rivelato in una chat retroscena incredibili su un Deep State che gestirebbe nell’ombra il potere. Si potrebbe pensare che il complottismo sia un fenomeno relativamente recente, riconducibile alle farneticazioni contenute nei Protocolli dei Savi di Sion (1903) e nel Mein Kampf (1925) di Hitler, ma tale visione del mondo risale molto indietro nel tempo e uno dei suoi “precursori” può essere considerato il gesuita trentino Padre Antonio Bresciani (1797-1862).

Si tratta di uno degli autori italiani più vituperati della nostra letteratura: Francesco De Sanctis (1817-1883) lo definiva “piccolo d’animo e di mente” [1], Benedetto Croce (1866-1952) un “linguaio” e un “insultatore e calunniatore dei patrioti italiani” [2] e Antonio Gramsci (1891-1937) coniò su di lui il termine brescianismo per definire una categoria di scrittori ostili al Risorgimento. A tali pareri possiamo aggiungere anche quello di antesignano del complottismo per P. Bresciani, anche se, come si vedrà, egli stesso non era esente da contraddizioni e non era il granitico reazionario che la critica ci ha lasciato intendere.

Diventato gesuita nonostante l’opposizione della famiglia, P. Bresciani insegnò a Torino, a Parma e a Roma negli anni Quaranta dell’Ottocento, e non si distinse particolarmente nel mondo culturale tranne che per un saggio critico sul Romanticismo (1839). Fu il 1848 l’anno di svolta della sua vita: con lo scoppio delle rivoluzioni in Europa e in Italia, la morte di Pellegrino Rossi (1787-1848) e la fuga del papa a Gaeta, P. Bresciani per sfuggire al furore dei repubblicani si tolse gli abiti religiosi e si rifugiò a casa Serafini [3], dove fu testimone delle vicende della Repubblica Romana. Con la caduta della democrazia e il ritorno di Pio IX a Roma, non solo divenne collaboratore della neonata “Civiltà cattolica” fondata da Carlo Maria Curci (1819-1891) [4], ma su richiesta esplicita del pontefice intraprese la carriera di romanziere per ammonire i buoni cristiani dal seguire le cattive idee liberali, democratiche e socialiste [5]. Fu così che nacque dalla sua penna la famigeratissima trilogia di romanzi d’appendice (i primi in Italia) L’ebreo di Verona, Della Repubblica Romana, Lionello o delle società segrete. Si tratta di romanzi in cui P. Bresciani condensa tutto il suo pensiero retrogrado, conservatore, ultracattolico in forma accattivante mediante la tecnica del feuilleton ossia storie pubblicate a puntate in cui ci sono buoni e cattivi e un colpo di scena in ogni episodio, di cui fu maestro Eugene Sue (1804-1857). In particolare il terzo romanzo, Lionello (1853), può essere considerato quello in cui P. Bresciani porta a livelli estremi la sua ossessione per le società segrete, già palesata ampiamente nell’Ebreo di Verona, dove il protagonista malvagio che muoveva i fili della rivoluzione era ... Giuseppe Mazzini (1805-1872)! Lionello non è altro che la prosecuzione dell’Ebreo di Verona, in cui alcuni protagonisti già visti nel primo romanzo, Bartolo, Alisa, Mimo e Lando, si rifugiano in Svizzera per sfuggire alla persecuzione dei democratici di Roma. Durante la loro permanenza in un albergo, sentono uno scoppio e insieme agli albergatori scoprono che un ospite sopra la loro camera si è sparato in testa. P. Bresciani in questa scena indugia in una descrizione orripilante, molto splatter, del cadavere, per mostrare la brutta fine di chi si lascia plagiare dagli ideali risorgimentali:

Lo sparo gli avea sfracellata la bocca e il cranio, di guisa che il labbro di sotto gli s’era in parte arrovesciato sulla barba, che lunga e fitta portava al mento: la mascella isghangherò portando seco squarciato l’orecchio sinistro, e l’occhio schizzatogli del capo penzigliava sanguinoso insino ai denti soprani, ch’erano in gran parte divelti, e colle schegge del cranio, e i cicciuoli delle gengive cascati sul pavimento [6].

Tra le carte del suicida si scopre un memoriale, che rivela l’identità del defunto, il conte Lionello di R***, e i motivi del gesto. P. Bresciani inizia così il racconto della giovinezza del conte, traviata da una pessima educazione, affidata alle cameriere di casa, e dalle letture nefaste di Locke, Condillac, Voltaire e Rousseau che rovinano la fede di lui adolescente. Quando Lionello si iscrive all’Università di Padova, si dedica ai piaceri e ai divertimenti e dimentica i consigli della pia sorella Giuseppina. Padova, come tutte le università, per il P. Bresciani, è un luogo di sperpero e di contaminazione con idee anticattoliche, ma soprattutto di società segrete. La fissazione del gesuita trentino per le logge clandestine lo porta addirittura a inventare una setta, denominata i Selvaggi, che sembra aver preso troppo alla lettera il mito del buon selvaggio di Rousseau:

Non si tagliavano mai le ugne, non tondeano i capelli, raro li pettinarono, raro si lavavano. [...] Gli scolari d’anatomia recavano sotto il mantello (sottratti occultamente dal teatro delle sezioni anatomiche) alcuni membri di morti allo spedale. […] Il più spesso era portare il cuore d’un qualche giovine morto nel fior della vita, e postolo in mezzo alla tavola, sì guatavanlo rabbiosi e digrignavano i denti come cani ringhianti; l’antesignano afferraval cogli unghioni e postolosi in bocca, gli dava di morso e ne spiccava un brano; così passanvanlo in giro, addentandolo ciascuno sinch’era lacero e dilaniato: poscia leccavansi quel sangue dalle dita siccome iene e tigri [7].

Ma è a Bologna che Lionello cade nella rete di un reclutatore e diventa un apprendista della Carboneria, per la quale viaggerà in Europa e che lo trascinerà di delitto in delitto. L’adesione di Lionello alla Carboneria dà la possibilità a P. Bresciani di descrivere con tinte sataniche gli scopi di quella e di altre società segrete; per il gesuita infatti l’Illuminismo (e gli Illuminati di Weishaupt), la Massoneria, la Carboneria, la Giovine Italia di Mazzini, i socialisti e i comunisti fanno parte di un unico piano diabolico per sradicare il cristianesimo dal mondo, come egli rivela nel (falso) giuramento dei carbonari testimoniato da Lionello:

Distruggere in terra dapprima Gesù Cristo e la sua Chiesa, indi il nome stesso di Dio, levando alla Deità l’uomo sotto l’idea compressiva del popolo. [...] Finalmente ridurre ogni uomo che vive in terra a far sé medesimo, signore di tutto il creato, animale solitario, feroce, sitibondo di sangue, come il basilisco, la iena e il lione della foresta» [8].

Per il gesuita trentino tutte le società segrete: “giungono alla negazione di Dio e alla connaturazione dell’anima umana colla diabolica natura” [9]. Dopo una riunione notturna dei capi della Carboneria italiana nella tomba di Galla Placidia, Lionello viene inviato come emissario dal gran capo di tutti i carbonari a Londra e da lì inizia la sua peregrinazione per l’Europa e la discesa negli abissi del male. A Lisbona il conte uccide un amico per salire di grado in una loggia occulta, poi s’imbarca per il Sudamerica e diventa baleniere, pirata e infine tocca il fondo della depravazione: a Montevideo si unisce alla Legione italiana di Garibaldi che combatte il dittatore argentino Juan Manuel de Rosas (1793-1877) e con lui ritorna in Italia. Con l’adesione di Lionello ai volontari per l’unità d’Italia, P. Bresciani coglie l’occasione per denigrare in ogni modo Garibaldi che ha un: “animo intemperato, bollente, risoluto, caparbio e ostinatissimo [10]; è un corsaro e un ladrone [11]”. Tuttavia, nonostante cerchi di screditare Garibaldi, P. Bresciani non riesce a nascondere la sua ammirazione per l’Eroe di Montevideo e ne emerge un ritratto contraddittorio. Da una parte il gesuita definisce Garibaldi un traditore dell’ospitalità offerta dal governo brasiliano, dal momento che aiuta i ribelli di Rio Grande [12], che in seguito abbandona per andare a Montevideo dove organizza una piccola flotta e una Legione di italiani per combattere contro l’Argentina [13], che più tardi lascia perché vuole tornare in Italia per “amor di stragi, di rapine, di sacrilegii, d’uccisioni di sacerdoti” [14].

Il Garibaldi in tutta la sua vita ha mostrato d’aver sortito della natura un animo atto a gran cose, ma il vizio l’ha snaturato, l’empietà l’ha depresso, i furori di parte l’hanno incrudelito, poteva essere un bravo e generoso soldato, e riuscì un masnadiere, capo di scherani, e flagello di tante fedeli contrade d’Italia [15]. La parte più nobile della sua vita, perché pura, onesta od intemerata, si è quando campava dell’opera delle sue mani nel cabotaggio da Rio Janeiro a Capo Frio, ed ora che da Lima guida la sua nave carica di STERCO DI UCCELLI ai porti della Cina per concimare i campi e gli orti dei Mandarini [16].

La parte del romanzo in cui P. Bresciani racconta le gesta del Generale è una evidente parodia della nota biografia di Garibaldi di G.B. Cuneo (1809-1875), che all’epoca aveva una grande diffusione [17]. Eppure il gesuita trentino in più di una pagina lascia trasparire il suo apprezzamento per Garibaldi, come quando racconta con dovizia di dettagli come salvò la vita in varie occasioni a uomini caduti in mare [18] o quando lo definisce “valente e audace marino” [19], “uomo intrepido e ardito” [20] o descrive le battaglie condotte da Garibaldi in Brasile [21] e in Uruguay [22] con viva partecipazione.

Il Garibaldi avea in mano i freni di quell’anime oltracotate (i Legionari) e sapea stringerli e allentarli all’uopo: sempre nobile, grave, sublime nella voce, nel gesto, nel parlamento: que’ duri e atroci soldati l’amavano e riverivano come un Dio: parlasse, era obbedito, cennasse coll’occhio, era inteso [23].

Nonostante Bresciani cerchi di costruire una biografia luciferina di Garibaldi, non ci riesce per la segreta stima che nutre per quell’eroe; una incoerenza che si ripete anche con Giacomo Leopardi (1798-1837), di cui scrive:

Nella paterna biblioteca trovò i libri che lo sedussero, e gli tolsero colla fede la più amabile delle virtù che Dio infuse negli umani cuori che è la SPERANZA. Chi legge i libri di quell’infelice non può reggere a terminarli. Ti soffocano in petto ogni alito di vita. Io l’amo quel traviato [24].

Il (de)merito di P. Bresciani consiste nell’aver innestato sull’antica paura del rituale notturno, e sul complotto massonico anticattolico inventato da A. Barruel (1741-1820) [25], l’ossessione che esistano società segrete, con rituali ripugnanti e sanguinari, che sono ramificate in ogni ceto, istituzione e governo, e che hanno lo scopo di rovesciare i valori della religione e della morale e governare il mondo dietro le quinte. L’innovazione di P. Bresciani consiste nell’aver indicato la “sinistra” (gli illuministi, i massoni, i liberali, i repubblicani, i mazziniani, i socialisti, i comunisti) come l’artefice di ogni macchinazione volta al sovvertimento di ogni potere legittimo e della religione e l’autrice di una nuova etica che eleva l’uomo a divinità.

Si potrebbe definire Q un degno erede delle fisime complottiste di P. Bresciani, che come un fiume carsico sono riemerse dai sotterranei della storia.

Note

[1] Paolo Orvieto, Buoni e cattivi del Risorgimento, Salerno Editrice, Napoli 2011, p. 15.

[2] Antonio Bresciani, Lionello o Delle società segrete, Raffaelli Editore, Rimini 2005, p. 331.

[3] Paolo Orvieto, cit., p. 29.

[4] Curci anni dopo divenne assai critico sul potere temporale del papa, fu sospeso a divinis per le sue idee progressiste e scrisse anche un libro a favore di un socialismo cristiano.

[5] Paolo Orvieto, cit., p. 30.

[6] Antonio Bresciani, Lionello o Delle società segrete, Raffaelli Editore, Rimini 2005, p. 14.

[7] Ivi., pp. 66-67.

[8] Ivi, p. 133.

[9] Ivi, pp. 133-134.

[10] Ivi, p. 263.

[11] Ibidem.

[12] Ivi, p. 272.

[13] Ivi, p. 276.

[14] Ivi, p. 282.

[15] Ivi, p. 283.

[16] Ibidem.

[17] G.B. Cuneo patriota, giornalista, biografo del Garibaldi, Paolo Orvieto, cit., p. 148.

[18] Ivi, pp. 269-271.

[19] Ivi, p. 263.

[20] Ivi, p. 273.

[21] Ivi, pp. 272-275.

[22] Ivi, pp. 276-277.

[23] Ivi, p. 289.

[24] Ivi, p. 57.

[25] Augustin Barruel fu un gesuita francese famoso per il libro Storia del giacobinismo, in cui attribuisce lo scoppio della Rivoluzione a massoni e illuministi.