Per chi scrive Fusaro?

Diego Fusaro, Pensare altrimenti. Filosofia del dissenso, Giulio Einaudi editore 2017, pagine 156, € 12,00.

Recensione di Stefano Bigliardi    Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Pensare altrimenti è una riflessione filosofica sul dissenso. La capacità di dissentire appartiene alle specificità dell’essere umano, definito da Fusaro “animale non stabilizzato e strutturalmente non stabilizzabile” (p. 5). Il dissenso si presenta in diverse forme: c’è il dissenso di chi vuole rimanere all’interno di un sistema per cambiarlo e c’è quello del rivoluzionario che vuole rovesciare il sistema; c’è il dissenso del singolo e quello collettivo; c’è il dissenso velleitario e quello traducibile in azione (cfr. pp. 18-21). Queste pagine sono tra le più interessanti del saggio, ed è un peccato che la tipologia non sia sviluppata con maggiore ampiezza.

 

Il sistema economico-finanziario dei nostri tempi, obiettivo polemico del libro, è descritto da Fusaro come “culto intimamente irrazionale” decretato alla “trinità” composta da “crescita fine a se stessa”, “nichilismo classista del profitto” e “mercificazione integrale” della vita (p. 17). L’autore si sofferma sulle tecniche attraverso cui il sistema consolida il proprio potere reprimendo il dissenso. Tali tecniche comprendono: la demonizzazione delle posizioni critiche rispetto al sistema (cfr. pp. 26 e 103); la promozione del conformismo sotto la maschera dell’individualismo, del pluralismo e della creatività (cfr. p. 35); la creazione di “lotte tra gli ultimi” (cfr. p. 68)  che però distraggono dal problema principale e inducono a non “verticalizzare” la lotta (cfr. p. 69); la diffusione di narrazioni volte a presentare fenomeni e provvedimenti economici quali necessari e ineluttabili (cfr. p. 92).

Questa cornice generale, ancorché veicolata attraverso il tipico stile affettato e “ipercitazionista” di Fusaro, non è priva di elementi condivisibili. La discussione di Fusaro si cristallizza però attorno a una serie di tesi impressionistiche e manichee che sicuramente possono riscuotere la simpatia di integralisti cattolici e sovranisti, ma che sono anche delle falsificazioni belle e buone. Per esempio, Fusaro sostiene che il sistema dominante incoraggia la critica dell’idea di Dio, sulla quale invece si può basare la critica dell’aldiqua (cfr. p. 61). Secondo Fusaro, la divisione tra “atei e credenti” appartiene alle “dicotomie oppositive sterili e fuorvianti” (p. 137), ovvero che distolgono dalla lotta contro il sistema. Per carità, non sfuggono l’esistenza e magari persino i meriti delle “teologie della liberazione”, tuttavia non sembra un buon motivo per ignorare millenni di religione usata come strumento di potere, per tacere della sempre attuale commistione tra fede e affari. O crede forse Fusaro, tanto per menzionare un tema attuale, che Medjugorje sia un nido di rivoluzionari, un vivaio di critica e pratica anticapitalista? Inoltre, non è lo stesso Fusaro a pescare tra immagini religiose (il “culto” e la “trinità” di cui dicevo poc’anzi) per caratterizzare negativamente l’ordine dominante come irrazionale? Un motivo ci sarà: strano che non gli sia passato per la mente. O ancora, Fusaro critica e respinge l’inglese come lingua del mercato finanziario la quale fa sì che i popoli si congedino dalla propria lingua madre (cfr. pp. 75-76; 78-79; 99-100). Ora, per quanto siano detestabili gli inani anglicismi del gergo aziendalistico e bancario, quest’ultimo si manifesta anche attraverso parole italiane; inoltre, la conoscenza della lingua inglese consente l’accesso a un universo di testi e situazioni che possono enormemente arricchire il pensiero. È falso, in generale, che l’apprendimento di una lingua straniera comporti l’espulsione della propria lingua madre. Casomai è vero che chi non padroneggia la propria lingua madre ben difficilmente sarà un buon parlante di una lingua straniera, e che i forestierismi sono particolarmente irritanti in chi non parla un buon italiano.

 

Con l’idea per cui la sola lotta che conta è quella “verso l’alto” mentre tutto il resto è secondario e ingenera distrazione Fusaro ha escogitato un perfetto dispositivo per creare, a getto continuo, “benaltrismo”, una pratica antipatica tanto quanto la parola. Certo, con il “benaltrismo” prodotto a ritmi industriali si possono facilmente riempire saggi e comizi televisivi. Ma suggerire che cause diverse dalla “lotta al sistema” siano trascurabili è un nido di errori, pratici e concettuali. Le battaglie per i diritti civili, o la critica delle superstizioni religiose, non dovrebbero essere screditate, considerato l’impatto esistenziale e sociale che hanno certi vuoti legislativi, o certe tesi impacchettate in dottrine religiose. Disinteressarsi di chi, ad esempio, è discriminato per l’orientamento sessuale, sostenendo che la sua causa è “secondaria”, è indice di scarsa umanità. Inoltre, un cittadino che sia mantenuto in un continuo stato di frustrazione, se non di emarginazione o, peggio, di oppressione, ben difficilmente avrà tempo ed energie sufficienti ad unirsi alla lotta contro il sistema. In altre parole, la visione in bianco e nero promossa da Fusaro disumanizza e induce a privarsi di potenziali compagni di lotta. Si può benissimo incoraggiare e allenare qualcuno alla critica del sistema partendo da cause circoscritte che lo toccano direttamente. Queste, peraltro, sono nozioni elementari, che si apprendono attraverso un minimo di pratica sindacale o di attivismo politico. Per intenderle a fondo occorre tuttavia accettare che la realtà è multicolore e multidimensionale, e composta di elementi che intrattengono relazioni complesse, nonché partire dal presupposto che gli individui possono pensare e criticare più di una cosa alla volta. Ma Fusaro, mentre si scaglia contro l’appiattimento degli individui creato dal sistema, mostra di basarsi a sua volta su di un’idea alquanto piatta degli esseri umani. Per carità, questo non è nemmeno da escludersi a priori.

Forse Fusaro ha ragione, il sistema ha trionfato ed è semplicemente troppo tardi per cambiare. Ma se le cose stanno così, per chi scrive Fusaro?