Se il Grande Fratello insegna la democrazia e i meme sono una cosa seria

Gianpietro Mazzoleni, Anna Sfardini, Politica pop. Da “Porta a Porta” a “L’isola dei famosi”, Il Mulino 2009; Gianpietro Mazzoleni. Roberta Bracciale, La politica pop online. I meme e le nuove sfide della comunicazione politica, Il Mulino 2019.

Recensione di Stefano Bigliardi   Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Con Politica pop (2009) Gianpietro Mazzoleni e Anna Sfardini (ricercatrice presso l’Università degli Studi di Milano) mettono ordine e chiarezza in una congerie di fenomeni talmente diffusi e quotidiani che si è quasi indotti ad ignorarne la potenza: la profonda commistione di televisione e politica nel nostro Paese, e le diverse manifestazioni di questa “alleanza”. Archiviati i tempi in cui il Partito Comunista si teneva sdegnosamente lontano dalla televisione, mentre la Democrazia Cristiana esprimeva in Parlamento gli esiti di bizantini dibattiti interni che i media si limitavano a registrare in modo “notarile”, la politica ormai dilaga in chiave pop nei palinsesti. Gli show televisivi si occupano di politica nei suoi aspetti più leggeri. I politici occupano stabilmente il piccolo schermo e anche nelle iniziative al di fuori degli studi televisivi si “esibiscono” con un occhio costante alla ricaduta catodica di quanto fanno e dicono. Personaggi TV diventano politici, e viceversa, mentre la politica si personalizza.

In Politica pop non si trova solamente una mappa dettagliata di questi fenomeni, che già è un risultato lodevole. Gli autori, sulla scorta di una nutrita bibliografia specialistica, offrono diversi spunti di riflessione. Anzitutto fanno notare che se la politica pop è un fenomeno globale, è anche vero che la sua declinazione italiana mantiene caratteri peculiari: è in continuità con una tradizione giornalistica che non è mai stata super partes, anche quando ha assunto, o assume, i caratteri dell’investigazione oggettiva. Inoltre, i diversi format, internazionali e anzi globalizzati, non hanno cancellato le caratteristiche locali, ma spesso sono diventati la vetrina di “maschere nazionalpopolari”.

Lo spunto a mio avviso più interessante di un libro comunque illuminante nel suo complesso riguarda l’impatto che la politica pop ha sulla partecipazione civica, fenomeno che non ha una interpretazione univoca e condivisa. Mazzoleni e Sfardini ricostruiscono un ampio ventaglio di interpretazioni. Ad un estremo si trovano le letture secondo cui la televisione essenzialmente distrae e addormenta le coscienze, tutt’al più fornendo un’immagine ipersemplificata della realtà, e magari alimentando nello spettatore l’idea di “essere impegnato” rispetto a un certo tema semplicemente perché ne è al corrente. A queste interpretazioni, forse moralistiche e in alcuni casi decisamente datate, se ne può contrapporre un’altra, secondo cui, se gli spettatori costituiscono un pubblico-mercato conquistato dai media, è altrettanto vero che possono sempre usare i media stessi per informarsi, adottando un atteggiamento monitorante rispetto alla politica, forse intermittente, ma non del tutto passivo, e possono persino familiarizzare con meccanismi essenziali per la cittadinanza come il voto, nelle forme in cui questo è proposto ad esempio dai reality show.  Il denso ma agile libro si chiude con un’appendice, a cura di Luca Barra e Massimo Scaglioni, in cui sono catalogati e descritti analiticamente, quanto a struttura, contenuto e dati audiometrici, venticinque programmi italiani sede e veicolo di politica pop.

 

In La politica pop online (2019) Mazzoleni e la co-autrice Roberta Bracciale (docente all’Università di Pisa) si concentrano sul fenomeno della “memizzazione” della comunicazione politica. Se il precedente libro si concentrava in particolare sui politici e la televisione, questo soprattutto osserva al microscopio i cittadini e la loro partecipazione e comunicazione politica. La diffusione e l’utilizzo dei social media costituiscono una “terza fase” nella comunicazione politica rispetto all’uso della televisione messo in atto in Italia da Silvio Berlusconi, e rispetto all’avvento del web, che nelle sue forme iniziali già permetteva ai politici, compresi quelli con minori risorse a disposizione, di aggirare la televisione. Ora non solo le distanze tra politici e cittadini sono annullate, ma a questi ultimi si aprono nuove possibilità di interazione e di espressione. Se è vero che i meccanismi attraverso cui gli utenti vengono attratti e si “coagulano” sui social media sono demandati a misteriosi algoritmi (un tema che Mazzoleni e Bracciale non sottovalutano, e che anzi esortano a investigare con maggiore profondità), è anche vero che gli utenti hanno la possibilità di un’interazione più diretta e rapida sia tra di loro sia rispetto ai leader politici. È in questo contesto che si afferma l’uso dei meme nella comunicazione politica.

I meme sono immagini, video o testi di natura umoristica, che sono copiati e diffusi dagli utenti di internet. Gli autori ne perdono il controllo: altri utenti li inoltrano e li modificano in un processo di bricolage infinito. Generalmente, un meme si compone di una cornice fissa e di un elemento variabile, che è poi il vero e proprio oggetto del meme, mentre la cornice esprime un sentimento, o un atteggiamento, che si intende proiettare sull’oggetto. Un esempio di cornice è il “confused John Travolta”, ossia il personaggio di Pulp Fiction Vincent Vega in una scena in cui manifesta smarrimento rispetto alle circostanze in cui si trova. (Nel giorno stesso in cui scrivo queste righe ne ho ricevuto una variante pasquale, in cui il personaggio in questione si guarda attorno, confuso, nel sepolcro di Cristo).

I meme sono diventati uno strumento importante di commento sulla politica, e si è assistito persino a meme wars in occasione della campagna presidenziale americana del 2016. Pur rappresentando una frammentazione del discorso politico, suggeriscono gli autori, non vanno ignorati, in quanto sono lo strumento, e il sintomo, di una nuova modalità di cittadinanza. Nel compiere questa osservazione, peraltro, gli autori non scadono nel “cyberottimismo”, perché se è vero che i meme possono essere prodotti e diffusi dai semplici cittadini, possono anche diventare, nelle mani di leader e partiti, oggetti che, sotto una apparente spontaneità, veicolano messaggi molto potenti, compresi quelli disinformati e disinformanti.

Ho letto questo libro, forse un filino più tecnico del precedente, ma sempre molto accessibile, con un misto di curiosità, soddisfazione, e inquietudine. Curiosità per i numerosi casi ed esempi che gli autori usano per illustrare le parti teoriche. Soddisfazione, perché, come lo studio precedente, La politica pop online mette ordine in una serie di fenomeni tanto familiari e pervasivi da indurre a darli per scontati quando scontati non sono affatto. Ma anche inquietudine, appunto; mentre ci si rende conto che l’opera di cartografazione di questo territorio fluido e cangiante è solo all’inizio (e che tuttora vi sussistono zone inesplorate, come gli algoritmi) viene da chiedersi: rispetto a questa accelerazione, a questa atomizzazione e a questo impoverimento di comunicazione e partecipazione politica, quale sarà la prossima fase?