Ranieri, Ginevra e l’inferno degli orfanatrofi religiosi

Giuseppe Spanu  

Antonio Ranieri (1806-1888) oggi è conosciuto come l’amico più fedele di Giacomo Leopardi e curatore delle sue opere dopo la morte del poeta. Tuttavia Ranieri non fu solo il sodale di Leopardi, ma anche uno storico, un deputato al Parlamento italiano (poi nominato senatore) e infine, per quel che ci riguarda, uno scrittore anticlericale. Il libro in cui espresse chiaramente il suo pensiero critico sulla religione e le sue istituzioni fu il romanzo dickensiano Ginevra o l’orfana della Nunziata (1839), la cui pubblicazione gli costò 45 giorni di prigione. Costretto ad abbandonare la letteratura per l’enorme scandalo che aveva suscitato il romanzo, Ranieri divenne avvocato (pur non avendo una laurea in giurisprudenza, miracoli possibili nel Regno delle Due Sicilie) e poté ripubblicare Ginevra solo nel 1862, dopo la fine della dinastia borbonica [1]. Come lui stesso raccontò nella Notizia intorno alla Ginevra, a causa di quel volume subì sia la persecuzione della polizia borbonica sia quella più feroce dei Gesuiti:

Questo prete cortese [Antonio Scotti 1786-1845], ch’era come il Gran Lama di tutta l’innumerabile gesuiteria EXTRAMUROS, per mostrarsi di parte, corse, co’ suoi molti neofiti, tutte le librerie della città, bruciando il libro ovunque ne trovava copie. Poscia, in un suo conventicolo dai Banchi Nuovi, sentenziò solennemente ch’era bene di bruciare il libro, ma che, assai migliore e più meritorio, sarebbe stato di bruciare l’autore a dirittura [2].

Ma cosa conteneva questo libro di così sconvolgente tanto che i preti cercarono di distruggerne le copie in circolazione? Perché l’orfanotrofio gestito dalle monache in cui veniva abbandonata la piccola Ginevra era descritto da Ranieri come una bolgia infernale piuttosto che come un’istituzione caritatevole. Ranieri si era recato in Inghilterra in volontario esilio a causa delle sue idee liberali, e lì scoprì l’organizzazione degli orfanotrofi britannici; una volta tornato in patria ed aver constatato il pessimo stato degli istituti per gli esposti, decise di scrivere un romanzo che denunciasse i patimenti che quei poverelli soffrivano. La protagonista dell’opera è Ginevra, una Oliver Twist in gonnella, una ragazza le cui disgrazie e dolori superano quelli di Candy Candy, Georgie e Remì messi insieme. Per lei, come per gli innocenti e i deboli presenti nel romanzo, non c’è un briciolo di felicità o di requie al dolore e la polizia e la magistratura, anziché tutelarla dalle ingiustizie, si accaniranno su di lei. Abbandonata alla Nunziata, il monastero dove, nella famosa ruota degli esposti, erano lasciati i neonati indesiderati, scoprirà ben presto che l’orfanotrofio non è un luogo sicuro per i bambini indifesi.

Giorno e notte si udiva rimbombare nelle immense volte della sala una specie di rauco muggito, che ad ora ad ora cresceva tanto, che pareva che le volte allora allora si aprissero e dessero la via al fragorio e al tuono d’una gran tempesta. Queste erano le balie che cullavano i bambini, dimenando con tanta furia le culle in su gli arcioni, che alla fine quei miserelli, storcendo gli occhi e tutti allividendo nel viso, erano compresi d’una sorta di apoplessia al cervello, che le balie interpretavano per sonno [3].

All’interno di quelle mura il vitto non era abbondante per gli orfanelli.

Dei tremila bambini in circa che sono gettati ogni anno nella buca, duemila e cinquecento muoiono, la più parte di fame [4]. [...] A mezzodì e la sera la donna mi dava un piccolo piattello dove era una poca di pappa di pane bruno cotto nell’acqua pura; e la sera alle ventiquattro un piattellino ancora più piccino della medesima vivanda. Quello era il mio pasto e questo la mia cena [5].

Dopo aver letto questi episodi, non dovrebbe stupire il ritrovamento di scheletri di bambini presso orfanotrofi e scuole cattoliche in Irlanda e Canada: probabilmente la denutrizione e i maltrattamenti erano prassi consolidate nelle istituzioni cattoliche preposte agli orfani e non un’eccezione della Nunziata di Napoli [6].

Sebbene non manchino figure religiose positive come suor Gertrude, l’unica monaca che si affeziona a Ginevra e le insegna a leggere e scrivere, o Teodelinda, una eremita che accoglie la ragazza dopo che, fuggita da Napoli, è stata abbandonata vigliaccamente dal suo compagno a Roma, la maggior parte delle monache e dei preti con cui l’infelice orfana ha a che fare sono esseri insensibili alle sofferenze del prossimo, invidiosi, sadici e malvagi. Ranieri era convinto che in tali individui gli scandalosi privilegi di cui godevano incoraggiassero l’immoralità e la cattiveria. Le monache appaiono come figure oscene [7], se non addirittura delle furie [8] quando si tratta di difendere i loro appannaggi dalle autorità civili. Le converse poi, erroneamente definite monache ma in realtà oblate, sono

il rifiuto di molte generazioni d’uomini e di cose. Sono il rifiuto de’ loro genitori, perché sono anch’esse degli esposti; sono il rifiuto di tutta quella canaglia, uomini e donne che vanno a torsi i bambini alla Nunziata per tutte le ragioni che già vi dissi; sono il rifiuto della Nunziata medesima, che le caccia nelle sue più fiere spelonche; e ultimamente sono il rifiuto di tutti i vecchi o giovani che per voto vengono a menarsi a moglie qualche fanciulla di quel convento. E così di rifiuto in rifiuto, pervenute a una età assai ben provetta, si offeriscono a Dio, che non sappiamo in quanto grado abbia la loro offerta, ma senza professare, e non desiderando nessun’altra cosa al mondo tanto, quanto l’occasione, qualunque ella sia, di cavarsi quella pezzuola di testa [9].

Erano proprio le converse a rivalersi scandalosamente sulle orfane adolescenti, tanto che, pur di guadagnare qualche soldo, trattenevano parte del vitto destinato alle fanciulle del brefotrofio e le lasciavano languire di fame. Lo scoprirà amaramente la povera Ginevra finita in quel girone infernale quando chiese una porzione:

O sorelle, darestene un cucchiaio anche a me, acciocché io non mi muoia al tutto di fame?

E le fu risposto:

La madonna non dà né ceci, né olio, né letto, ma quindici once di pane al dì, e cinque grani. Il pane gli è questo (e ne cavò dalla tasca, che n’era piena, un tozzo simile a quello del dì davanti). Dei cinque grani, tre ne vengono a noi per il letto, se già tu non volessi dormire in terra stanotte. Restano due, che non bastano, perché questa vivanda costa tre grani per testa. Abbimi dunque per iscusata, ed eccoti i due grani che t’avanzano [10].

Infine i preti che dovevano insegnare la morale e le lettere alle giovinette e vigilare sulla loro incolumità, erano dei depravati come don Serafino “che di serafico aveva altro che il nome” [11].

Questo sacerdote, “uomo prudentissimo e destrissimo nell’arte del nuocere” [12], riuscirà ad accattivarsi la fiducia di Ginevra, innamorata castamente di un giovinetto conosciuto fuori dalla Nunziata, e con il pretesto di farla incontrare segretamente col ragazzo, la condurrà lontano dal monastero in una sudicia bettola per poterla violentare. Una volta lì lascerà cadere la maschera:

Ti colsi finalmente nella mia rete, esclamava mordendosi le labbra, ti colsi, o vil femminetta, che ardisti negare il tuo fiore a me, che sfiorai più vergini che non ho capelli canuti in questo mio capo. Stolta! e tutte più belle di te. Né credere di parermi bella, ma non voglio che tu sii la sola ch’io abbia desiderato in vano. E tenendomi tuttavia il pugnale nella gola, e punzecchiando ognora più forte, io credo che già quasi m’avrebbe scannata, se avesse creduto così bene potersi saziare la sua sete nel mio cadavere, come nel mio viso. … Poiché il prete ebbe attutata in quel mio morto corpo la sua rabbia bestiale, né la terra s’aprì, né io invocai mai più l’aiuto celeste in nessun’altra delle mie sventure. […] Il quale, tutta rassettandosi la persona, ragionava loro (coi complici) assai tranquillamente, che a volere avere mercede e sicurezza intera bisognava che m’uccidessero senz’altro [13].

Per fortuna l’arrivo provvidenziale dei gendarmi nella taverna salverà Ginevra da don Serafino, dai suoi scagnozzi e dalla morte, ma non riuscirà ad ottenere giustizia per l’orrenda violenza subita, perché il prete beneficerà della protezione di persone altolocate.

Dopo pochi dì, non so qual tribunale dichiarò me consenziente al prete, e il prete, i due cagnotti e la ruffiana incolpabili; e come tale don Serafino ritornò alle sue ordinarie lezioni, che, come richiesto a corte, era stato costretto a intermettere. E benché io me gl’involassi sempre come al più velenoso e mortale serpente, nondimeno mai il demonio non me gli parò davanti, ch’egli sottocchi non sogghignasse [14].

Sebbene Ranieri sia stato influenzato dalle opere del Marchese De Sade (in particolare da Justine o le disavventure della virtù) per il racconto delle sventure di Ginevra, più che ai romanzi di Eugene Sue o Charles Dickens, a cui venne accostato, il suo intento principale fu quello di denunciare sotto forma narrativa l’orrore della Nunziata e lo sfacelo morale di monache e preti che avrebbero dovuto educare gli orfanelli. E qualche effetto il libro lo sortì se, dopo la scarcerazione dello scrittore, il re Ferdinando II assegnò 50.000 ducati all’anno per gli orfanotrofi. Anni dopo Ranieri ebbe la fortuna di vedere finalmente il rifacimento degli orfanotrofi, come lui stesso ricordava:

un dì (correva, credo, il cinquantotto) camminando penseroso per la via della Nunziata, ed avendo la mente rivolta assai lontano dalle care ombre della giovinezza […]; un bravo architetto, il cavalier Fazzini, mi chiamò, per nome, dal vestibolo dell’ospizio, ch’era tutto un restauro. E mostrandomi un esemplare del libro [Ginevra] ch’aveva alle mani […] m’invitò di venir dentro, e di riscontrare se tutto era stato attuato secondo l’intendimento del volume perseguitato! [15].

Davvero un happy end per uno scrittore che fu rinchiuso in una malsana cella per aver svelato al mondo l’orrore degli orfanotrofi gestiti da religiosi.

NOTE

[1] Antonio Ranieri, Ginevra o l’orfana della Nunziata, Lucarini, Roma 1986, p. 11.

[2] Ivi, p. 21.

[3] Ivi, p. 48.

[4] Ivi, p. 95.

[5] Ivi, p. 48.

[6] https://www.google.com/amp/s/www.repubblica.it/esteri/2017/03/03/news/irlanda_fossa_comune_vicino_ex_orfanotrofio_gestito_da_suore_a_tuam_nella_contea_di_Galway_1596900248/amp/

[7] Antonio Ranieri, op. cit., p. 127.

[8] Ivi, p. 218.

[9] Ivi, p. 132.

[10] Ivi, pp. 128-129.

[11] Ivi, p. 232.

[12] Ivi, p. 240.

[13] Ivi, pp. 241-243.

[14] Ivi, pp. 254-255.

[15] Ivi, p. 22.