Dignitose e ostinate ortiche nei giardini di plastica dei re. Recensione a: Chiara Foà, Matteo Saudino: Il prof fannullone. Appunti di una coppia di insegnanti ribelli nell’esercizio del mestiere più antico del mondo. Autopubblicato, Torino 2017, pp. 209, disponibile in paperback e Kindle

Stefano Bigliardi  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Chiara Foà e Matteo Saudino hanno percorso, con convinzione, perseveranza e passione, tutto il cursus honorum (ma a tratti si sarebbe tentati di dire la via crucis) che li ha portati a insegnare nelle scuole statali secondarie, rispettivamente di primo e secondo grado, cominciando con la gavetta nell’u­niverso kafkiano dei diplomifici privati a “collaborazione non continuativa” (in realtà con incarichi di 31 ore alla settimana). Il libro è una raccolta di “appunti”, a dire il vero piuttosto strutturati e approfonditi, ma anche arguti, sul mestiere di insegnante, un’opera a cui Foà e Saudino hanno messo mano mossi (ma i più giovani direbbero: triggerati) dal trito luogo comune per cui i professori statali sono dei privilegiati con stipendio fisso, orario lavorativo contenuto e tre mesi di vacanza all’anno.

È strano doverlo ripetere, ma la scuola pubblica è un luogo di formazione anzitutto umana e ha la funzione di costruire “teste ben fatte”, cittadini critici, maturi e consapevoli. Di capitolo in capitolo, attraverso osservazioni puntuali sostanziate dall’esperienza in prima persona, gli autori tracciano una mappa analitica e impietosa, ma sovente stemperata dall’ironia, di insidie e ostacoli che si frappongono tra i docenti ben consapevoli di tale missione, e il compimento di quest’ultima. Si va dalle riforme governative di ogni colore, al comportamento di dirigenti e docenti (di cui Foà e Saudino disegnano un “bestiario” tanto accurato quanto divertente) i quali, pur diversificandosi per psicologia, sono spesso poco costruttivi e collaborativi, passando per la burocrazia interna alle scuole, una “bufera infernal che mai non resta” di circolari: fino a 230 l’anno, e guai a chi se ne perde una. Si aggiungono le sfide causate dai grandi cambiamenti dei nostri tempi: le classi (spesso “pollaio”) ad alta variabilità di profili socio-culturali e linguistici, la tecnologia neomediatica che erode l’attenzione, le sirene della società neoliberista (ottime le pagine sul giovane “saltimbanco delle banche” mandato, in orario di lezione, a imbonire gli studenti a suon di slogan motivazionali affinché aprissero un piano di risparmio), e ancora, l’individualismo narcisista delle nuove generazioni e il declino a picco del prestigio sociale accordato agli insegnanti.

Questo libro, che si legge d’un fiato, è una diagnosi lucida, calata nella realtà ma al tempo stesso super partes, e a tutto tondo, dei mali della scuola. Si consiglia a diverse categorie di lettori. Può servire ai genitori di studenti, nel caso in cui volessero andare al di là della loro percezione per forza di cose limitata del mestiere di insegnante, o vedere che cosa si nasconde dietro alle descrizioni trionfalistiche delle riforme scolastiche, o alle promesse e lusinghe di questo o quell’istituto (come quella di raggiungere il diploma in soli quattro anni, o l’offerta del tablet gratis). Il libro può altresì servire agli studenti, per capire che il professore più bravo non è necessariamente quello più simpatico perché più prodigo, in classe, di digressioni sul reality show del momento, e che la lezione frontale non è una inutile “barba” (per usare un’espressione tipica di Matteo Saudino). Il libro è caldamente raccomandato anche ai docenti, che vi troveranno, nelle pagine finali, un bellissimo decalogo, intitolato “Lo zen e l’arte dell’insegnamento”, che si presta a ripetuta lettura e meditazione attenta. In queste pagine gli autori ci ricordano che un buon insegnante deve collaborare con i colleghi (almeno alcuni), mante­nere dignità e slancio a dispetto delle pressioni, esercitare lo “scetticismo intelligente”, amare la propria materia, combattere (“la lotta allunga la vita”), comunicare il proprio disagio, aiutare gli allievi a crescere anche dicendo dei “no”. Per lasciare la parola a Foà e Saudino “i docenti non sono personal trainer privati, ma liberi spiriti che devono stimolare l’emancipazione” e devono mantenersi “dignitose e ostinate ortiche nei giardini di plastica dei re”.