Cattolicesimo e transgenderismo. Intervista a Elena D’Epiro, attivista transgender

Giuseppe Spanu    

Giuseppe Spanu (GS): Sei credente o a-religiosa?

Elena D’Epiro (ED): Credente.

(GS): In qualche religione storica (cristianesimo, Islam, buddhismo ecc.) o altro?

(ED): Cristianesimo.

(GS): Le persone della comunità transgender che conosci sono prevalentemente credenti o non credenti?

(ED): Non saprei con precisione, propenderei per non credenti.

(GS): Il tuo rapporto con la religione è sereno o conflittuale (per esempio le recenti ingerenze del Vaticano sul Ddl Zan)?

(ED): È sereno con il Padre Eterno, ma ovviamente non sereno con la Chiesa cattolica. Ma è una cosa antecedente al Ddl Zan: risiede proprio nel come la Chiesa affronta il transgenderismo.

(GS): Hai percepito un cambiamento da parte della Chiesa cattolica verso la questione transgender? Più aperturista o arroccata in una posizione antiquata?

(ED): Allora, diciamo che Papa Francesco negli ultimi anni ha mostrato apertura, nel senso che ha incontrato in Vaticano alcune persone trans che dalle loro parrocchie erano state un po’ escluse, mentre lui le ha accolte in Vaticano per dei colloqui privati. Poi si sa che la Chiesa è una cosa molto eterogenea: c’è il sacerdote più aperto (magari qui a Parma dà l’eucarestia alle coppie omosessuali) e c’è il sacerdote strachiuso. Dunque dipende sempre da con chi parli. Dicevo che il Papa delle aperture le ha fatte, come appunto invitare le persone trans in Vaticano, o anche aiutare le persone trans durante la pandemia (le sex worker trans di Roma). Ma questi gesti di estrema apertura poi si alternano a momenti di chiusura: per esempio nell’ultima intervista che ha fatto, durante uno dei suoi viaggi, sull’aereo coi giornalisti parla di “ideologia gender”. In realtà la Chiesa è in cammino ma non si capisce da che parte vada, Papa compreso; per cui possiamo dire che essa alterna una posizione antiquata ad alcune aperture. Fondamentalmente come persona trans cattolica mi sento in una specie di limbo. Anche perché, diciamocelo, parlando di dottrina – anche parlando coi Domenicani, che sono i depositari del Catechismo cattolico, gli avvocati della Dottrina dura e pura – non c’è una condanna netta, però ci sono dei problemi pratici con le persone trans. Sicuramente posso dire con certezza che questo Papa ha fatto molte più aperture alle persone trans rispetto al suo predecessore Benedetto XVI o a Giovanni Paolo II, sicuramente molto più rigidi da questo punto di vista. Però continua ancora la narrazione della “teoria gender”, quello sì.

(GS): Quali problemi pratici per esempio?

(ED): Allora, a livello pratico, io per esempio, personalmente, stavo facendo un percorso appunto coi Domenicani. Leggo il loro blog e li stimo molto, perché loro veramente ti presentano la Dottrina cattolica così com’è, quindi quello che la Chiesa professa a livello ufficiale – anche se poi, come ripeto, la Chiesa è fatta da uomini che a volte danno interpretazioni un po’ edulcorate. Sul sito dei Domenicani si scopre che la Dottrina sulle persone trans è fondamentalmente molto conservatrice. Tanto per dare un’idea, non c’è una condanna piena della persona trans, perché comunque viene riconosciuta la disforia di genere, più precisamente non tanto dell’identità di genere, quanto la sofferenza causata dalla disforia. Nella dottrina contenuta nel blog dei Domenicani c’è ancora una visione patologizzante, ma almeno viene riconosciuto che tu hai questa situazione di incongruenza di genere. Il problema è che, da quello che ho capito, molti pretenderebbero che questa situazione venisse risolta soltanto a livello psicologico, quindi con uno psicoterapeuta: non arrivano a fare il passo successivo ossia a capire che tu, per poter alleviare la disforia, devi assumere degli ormoni. Il solo percorso psicologico, dopo un certo periodo, perde la sua efficacia. Lo percepiscono tutte le persone trans. Le persone trans che ad un certo punto sentono il bisogno di prendere gli ormoni, perché aumenta la tensione, perché una volta scoperta la propria identità, si sente il bisogno di agire sul proprio corpo, per una serenità psicofisica. Non esiste la transizione senza ormoni, soprattutto nel caso delle persone trans binarie. C’è chi fa solo il percorso psicologico o non lo fa ed è a posto; però pretendere che tutte le persone trans non accedano agli ormoni è inammissibile. Soprattutto la Chiesa cattolica non riconosce l’operazione chirurgica di cambio del sesso, perché secondo la Chiesa ti stai menomando un organo sano; ma non si può pretendere che il transgenderismo resti confinato in ambito psicologico, che la persona trans non viva la propria identità di genere pubblicamente. C’è anche chi nella Chiesa fa uno sforzo per inquadrare la situazione. Anche il quotidiano Avvenire ha fatto una buona descrizione dei centri transgender, tuttavia c’è ancora un preconcetto su quello che è il concetto di transizione. La Chiesa riconosce il problema della disforia ma fa un po’ di fatica a riconoscere pienamente il percorso di transizione. Riconosce la disforia, ma rimane lì, c’è un po’ di timidezza alla base. Ma la persona trans non può fermarsi solo su un percorso psicologico. Almeno questa è la mia esperienza personale, che ho avuto informandomi con i padri Domenicani, che molti considerano come la parte più conservatrice della Chiesa. Bisogna riconoscere a questi padri Domenicani che comunque loro si attengono scrupolosamente al Catechismo, alle dottrine morali (San Tommaso d’Aquino); non danno un’interpretazione edulcorata della dottrina del tipo: “tutti vanno in paradiso senza problemi”. Diciamo che li apprezzo per la loro coerenza. Posso sapere da loro precisamente se sto nel peccato o non sto nel peccato, mentre molti sacerdoti, non dico che tirino a indovinare, ma hanno una visione molto più sfumata. Io poi ho sviluppato una visione molto più complessa perché conosco il mio percorso, so cosa ho fatto e i conti col Padre Eterno li ho già fatti. La Chiesa deve ancora capire la transizione. Perché se tu parli con le persone trans, ti diranno che è una necessità, non è vero che ci si può fermare. Io so benissimo che la Chiesa sbaglia approccio nei confronti di questo problema e il Padre Eterno, Dio lo sa! Mentre quello che sa Dio e che so io la Chiesa ancora non lo sa. Infatti attualmente la Chiesa vieta per esempio a una persona trans di fare la madrina (o il padrino). Ci sono state interrogazioni fatte al Vaticano su tali temi. Io per esempio non posso fare da madrina e non posso sposarmi in chiesa. Questo limita fortemente la partecipazione di quelle persone trans che vorrebbero far parte della vita della comunità parrocchiale e professare la propria religione, andare a messa, prendere la comunione. Davvero ho soggezione ad entrare in una chiesa, perché non capisco se sto dalla parte del bene o dalla parte del male, se mi accettano o non mi accettano. E penso che un confessore abbia problemi a capire se mi può assolvere o no, qualora abbia effettivamente commesso questo “peccato” di essere transgender.

(GS): Sembrerebbe che la transessualità sia stata accettata dalla società, almeno a guardare certi programmi televisivi e i social network. Ma è veramente così?

(ED): In realtà anche questo è un discorso di transessualità contro transgenderismo: quello che si comincia ad accettare è il concetto di transessualità tipico degli anni  ’80: Madre Natura ti ha fatto uno scherzo e allora correggi il tuo sesso facendo la transizione classica, come prevedeva la legge 164 del 1982 e che ora è stata diversamente interpretata dalla Corte Costituzionale. Oggi però la società dovrebbe fare il passo successivo, quello di riconoscere non soltanto il/la transgender come percorso di transizione, ma il/la transgender come persona che sta esprimendo un’identità di genere, che è un diritto costituzionale. Adesso si sta cominciando ad accettare la versione  old o vintage della transessualità, ma un giorno bisognerebbe arrivare al pieno riconoscimento dell’identità di genere che viene ancora disprezzata. Ne sono una prova i dibattiti politici sul Ddl Zan. Poi si sta cominciando ad accettare, specifichiamo, si sta cominciando a parlare, a rendere un po’ normale la transessualità, ma dire che è accettata è davvero una parola grossa, molto grossa. Diciamo che si stanno muovendo i primi passi verso qualcosa che assomiglia all’accettazione: rispetto a dieci o venti anni fa la situazione è migliorata tantissimo. Le persone trans oggi hanno tante opportunità lavorative, mentre se tu senti le testimonianze negli anni ’70 e ’80 per loro c’era solo la prostituzione e il sex working per strada. Quindi insomma direi che dei passi in avanti ne abbiamo fatti, ma solo ora si sta cominciando a capire che le persone trans possono far parte della società come le altre, che non possono essere emarginate. Ma un’accettazione piena direi di no, ci sono ancora tantissimi problemi, anche dal punto di vista sociale. Ad esempio, molte persone – la maggior parte, 9 su 10 – avrebbero difficoltà ad ammettere di avere una relazione con una ragazza trans.

(GS): Una persona transessuale può cambiare genere all’anagrafe o deve prima operarsi?

(ED): Una persona trans, allo stato attuale, può cambiare genere all’anagrafe, a prescindere che si operi o meno. Questo è un importante risultato ottenuto di recente, perché prima non era così. È stato ottenuto con una sentenza molto importante del 2015 della Corte Costituzionale, che riconosceva il diritto all’identità di genere. Questo è un caposaldo, un cambio di passo fondamentale per tutta la comunità trans, perché si passa dal percorso di transizione fisico, puramente inteso come correttivo, ad un riconoscimento dell’identità di genere come un diritto all’identità, tra i diritti fondamentali del cittadino/a. Sarebbe riduttivo interpretare quella sentenza delle Corte Costituzionale semplicemente dicendo: “ah, la Corte ha detto che ti puoi anche non operare per cambiare il nome e il genere sul documento”; in realtà quella sentenza ha una portata molto più ampia. Ed è anche uno dei motivi per i quali, a partire da essa, è come se fosse stato ufficializzato il concetto di transgenderismo anziché di transessuale. Infatti noi della comunità preferiamo usare la parola transgender. La Corte si era già espressa in merito nel 1985, appena tre anni dopo la legge 164 del 1982, che regolava il processo di cambiamento a livello legale e usava l’espressione “il transessuale” in modo molto brutto e patologizzante. Invece nella sentenza del 2015 si leggono le parole transgender e identità di genere: un cambiamento notevole dopo tantissimi anni. Quindi molte espressioni sono diventate automaticamente desuete, anche all’interno del vocabolario istituzionale e giuridico. Si preferisce la parola “transgender” perché è qualcosa che sta prendendo piede anche a livello legale e frutto di un percorso culturale. È molto interessante leggere come nelle varie pronunce della Corte Costituzionale il vocabolario sia radicalmente cambiato nel tempo. Quindi quella della legge 164 del 1982, con il suo corollario di correzione di un errore di Madre Natura, è ormai una visione vecchia: oggi c’è il pieno riconoscimento legale dell’identità di genere.

(GS): Che cos’è questa famosa teoria gender?

(ED): La teoria gender è una teoria complottista che ha preso molto piede (ed elaborata dallo stesso Vaticano) che confonde i gender studies, gli studi di genere, che fanno parte della ricerca e delle indagini tipicamente sociologiche, con qualcosa spacciato per un complotto della comunità LGBT+, che vorrebbe una sorta di nuovo ordine mondiale ai danni dell’antropologia umana così come la conosciamo. Da quando i gender studies hanno cominciato a mettere in discussione l’importanza del sesso biologico o la fissità dei ruoli della donna e a smentire la vecchia strutturazione patriarcale dei generi, questi studi hanno messo in crisi teorie già ampiamente confutate e un modello di società che la Chiesa cattolica gradiva. Per la Chiesa si nasce uomo o donna, ci sono dei ruoli, ci sono delle predisposizioni e ovviamente l’identità di genere semplicemente non esiste. Anzi il concetto di identità di genere viene confuso con il falso mito che la lobby LGBT voglia distruggere la dicotomia uomo-donna e persino il concetto di donna (come pensano le femministe trans-escludenti). Per gli araldi della teoria gender, tra cui alcune femministe, si vorrebbe creare un’invasione di uomini che si autocertificano donne per togliere spazio alle vere donne! Per la Chiesa questa teoria metterebbe in discussione i fondamenti della dottrina, dove il sesso biologico è fondamentale. Quindi in buona sostanza si tratta di un grande fraintendimento: da una parte ci sono i gender studies che smentiscono le fondamenta della cultura patriarcale, dall’altra c’è chi vuole rimanere aggrappato a una certa visione antropologica della società e dell’uomo e si difende accusando una fantomatica lobby LGBT+ di reinterpretare il mondo per distruggere la naturalità dell’uomo. Secondo questa teoria la comunità LGBT+ vorrebbe fare opera di indottrinamento nelle scuole e insegnare ai bambini che “transitare è bello” e altre sciocchezze. Io posso dirti da persona trans che la transizione non è proprio una passeggiata salutare, ma secondo questi complottisti vorremmo far giocare i bambini con le bambole e snaturare la predisposizione delle bambine ad attività muliebri. Inoltre questi complottisti accusano la comunità LGBT+ di promuovere il mercificio dei figli o la cultura della morte.  Si scagliano contro le persone trans perché secondo loro la transizione oggi passerebbe sotto forma di autocertificazione del genere, quando in realtà in Italia nessuno può autocertificare il proprio genere. Ma i complottisti della teoria gender continuano a dire queste e altre falsità. Persino la famosa frase di Simone de Beauvoir “donne non si nasce, si diventa” è stata usata contro la comunità transgender, per esempio nei volantini dell’associazione Pro Vita, per dire che la lobby LGBT+ vorrebbe abolire la biologia umana. In realtà Simone de Beauvoir disse quella frase per contestare le teorie di chi sosteneva ci fossero nella donna predisposizioni naturali e sociali per certe attività e non per altre. Questi complottisti fraintendono completamente l’autodeterminazione di genere e accusano le persone trans di volersi autocertificare come donne per ottenere i vantaggi di quel genere. Come ad esempio se io volessi andare alle Olimpiadi e, essendo scarsa nella categoria maschile, mi autocertificassi in quella femminile di una disciplina sportiva per vincere facilmente.

(GS): Grazie Elena per averci concesso l’intervista.