Il pensiero, nemico della paura

Maria Vittoria Lotti

La paura è un’emozione primaria, comune agli uomini e agli animali, di fondamentale importanza per la sopravvivenza. Prepara l’organismo ad affrontare le situazioni di emergenza, apprestando difese che si traducono in atteggiamenti di lotta o di fuga [1].

Nella sua analisi dell’espressione delle emozioni, Darwin indica come “primo stadio” della paura lo stupore: nel senso che le tipiche espressioni della paura (alzare le sopracciglia, allargare gli occhi, aprire la bocca) sono un’accentuazione dell’espressione di stupore [2]. Aristotele era d’accordo con lui, ma aggiungeva che lo stupore è anche l’inizio del filosofare: uno stimolo a pensare per capire, come antidoto alla paura. “Gli uomini hanno iniziato a filosofare, ora come in origine, a causa dello stupore. Mentre da principio restavano stupiti di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri […]. Ora, chi prova un senso di dubbio e di stupore riconosce di non sapere” [3].

Epicuro porta questa idea del pensare – del filosofare – come antidoto alla paura alle estreme conseguenze: la filosofia si oppone alla paura dei mali falsamente ritenuti tali: la paura della malattia e della morte, la paura che la felicità non sia realizzabile e soprattutto la paura degli dèi, che scrutano gli atti dell’uomo per punirlo. Sono molti i filosofi antichi a condannare la paura degli dèi e le connesse pratiche volte a placarli, la “superstizione”. Per Lucrezio, seguace di Epicuro, la religione è un assurdo e pericoloso sentimento di soggezione nei confronti di presunte entità oscure che inducono l’uomo impaurito a commettere atti infami: “molto spesso la superstizione religiosa produsse empietà e scelleratezze” [4]. L’antidoto, anche per Lucrezio, è il retto pensare: capire – oggi diremmo scientificamente – la vera “natura delle cose” al di là dei miti e delle false credenze.

Riassumendo: ci sono paure sensate, stupori stimolanti e paure insensate. Tra queste, la paura degli dèi è particolarmente esecrabile

Tra le religioni che hanno puntato molto sulla paura degli dèi, quelle bibliche sono senz’altro al primo posto. Non a caso, quando in età ellenistica gli ebrei conducevano ancora un’attività di proselitismo, i convertiti venivano chiamati con disprezzo “timorati di dio”: è la paura di essere giudicati e puniti da un dio vendicativo a far rispettare i precetti religiosi. Jahveh è in effetti rappresentato come un essere collerico e tremendo. Nell’antica Israele punisce soprattutto nella vita presente, ma nel giudaismo farisaico si diffonde l’idea della punizione nell’aldilà, mutuata poi dal cristianesimo. Il cristianesimo propone un dio meno terribile di quello giudaico, disposto all’amore e al perdono; ma al “timor di dio” e alla minaccia del castigo eterno certo non ha mai rinunciato. Anche l’idea di premi e castighi in questa vita è ben radicata nel cristianesimo e soprattutto nel cattolicesimo, particolarmente incline alla superstizione. L’idea che il male, di qualunque genere, rappresenti una punizione coltiva la paura e il senso di colpa, cui fa da contraltare la fiducia di ottenerne la cessazione con comportamenti devoti di sottomissione. È chiaro che, in entrambi i casi, sono in gioco quelle che in psicologia si chiamano “correlazioni illusorie”, ossia veri e propri errori del pensiero.

Le religioni sono fatte di “correlazioni illusorie”. Tuttavia – forse perché la nostra cultura è intrisa di idee religiose, forse perché siamo “animali irrazionali” [5], istintivamente portati a ragionamenti sbagliati – tendiamo a stabilire “correlazioni illusorie” anche, per così dire, “laicamente”, specie quando abbiamo paura. La paura, che ci predispone alla lotta o alla fuga, esige infatti risposte immediate e le “correlazioni illusorie” sono scorciatoie mentali, che spesso chiamano in causa pregiudizi, stereotipi sociali, reazioni primitive. Di fronte a una minaccia o a un male attuale che non comprendiamo fino in fondo, immaginiamo che qualcuno ce lo stia facendo volontariamente, che ci sia un responsabile personificato, un colpevole, un nemico. Su questo meccanismo mentale si basa, individualmente, una psicosi come la paranoia; collettivamente, il complottismo. Lo abbiamo visto durante l’epidemia da Covid-19, oggetto delle più fantasiose teorie cospirazioniste.

Possiamo dunque dire che la paura è nemica del pensiero: del pensiero analitico che non salta subito alle conclusioni senza vagliare e riflettere. Certo, se ci aggredisce una belva feroce o un malintenzionato armato di coltello, ben vengano la fretta e le scorciatoie mentali indotte dalla paura: scappiamo, ben felici che, come dicono i francesi, “la peur donne des ailes” (la paura mette le ali). Ma quando il pericolo è grave ma più difficile da valutare, fermiamoci a pensare, analizziamo con spirito critico le informazioni che ci vengono date, ragioniamo, valutiamo. Il pensiero è nemico della paura, come diceva Epicuro: la supera, se è infondata; se è fondata ci aiuta ad agire razionalmente di fronte al pericolo.

NOTE

[1] “Emozione primaria di difesa, provocata da una situazione di pericolo che può essere reale, anticipata dalla previsione, evocata dal ricordo o prodotta dalla fantasia. La paura è spesso accompagnata da una reazione organica, di cui è responsabile il sistema nervoso autonomo, che prepara l’organismo alla situazione d’emergenza, disponendolo, anche se in modo non specifico, all’apprestamento delle difese che si traducono solitamente in atteggiamenti di lotta e fuga” (Umberto Galimberti, Dizionario di psicologia, Gruppo editoriale L’Espresso, Roma 2006, vol. 3, p. 19).

[2] Cfr. Charles Darwin. L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, Bollati Boringhieri, Torino 1999, p. 305 e ss.

[3] Aristotele, Metafisica, I, 2, 982 b, 12.

[4] Tito Lucrezio Caro, De rerum natura, I, vv. 83-84. L’esempio che porta in proposito è il sacrificio di Ifigenia, uccisa da Agamennone per placare gli dèi.

[5] L’animale irrazionale è il titolo di un libro di Danilo Mainardi (L’animale irrazionale. L’uomo, la natura e i limiti della ragione, Mondadori, Milano 2002) che illustra e spiega i comportamenti “superstiziosi” negli animali e nell’uomo, che li amplifica soprattutto per la complessità delle strutture sociali in cui vive.